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La vita è immobile, è la birra che scorre
Trovare un musicista dimenticato dal pubblico è facile. Chiami la sua ultima casa discografica e chiedi il nome del suo ultimo manager conosciuto. Così ho raggiunto Justin Currie, per dirgli che forse avrei scritto della sua vita, ma che non sono un critico musicale, solo un fan. Lui, da vecchio scozzese, ha riso con timidezza, e mi ha detto: chi è che ti ha fatto male stanotte, ragazzo? È la vita che scorre troppo veloce, Justin, gli dico, e lui: la vita è ferma, solo la birra scorre, e ciò che della birra resta, dopo che l’hai bevuta.
Non bevo birra. E lui: Fai bene, meglio asciutti che essere come quei bambini, finti disperati, sempre in cerca di attenzione che lanciano intorno a sé ballate tragiche e poi le trasformano in piscio. Ho scritto e cantato canzoni, ammetto, spesso per ragazze con cui non avevo avuto il coraggio di parlare. Justin rantola: le sole canzoni buone solo quelle che parlano a chi non ascoltava o cui non abbiamo avuto il coraggio di chiedere. Oppure sei Bob Dylan, e sei talmente autistico che non riesci a parlare con nessuno tranne che con te stesso. Justin, invece, ha scritto una mezza dozzina di canzoni che oggi nessuno ricorda più, ma che sono bellissime, profonde, e spesso vertono sull’incapacità di parlarsi. Ahahah! Non mi freghi ragazzo! Siccome la vita è immobile, per me Del Amitri è ancora oggi, non è passato nemmeno un giorno.
Sicché vi devo una spiegazione: Justin è il figlio di un famoso musicista classico scozzese, nato e cresciuto a Glasgow, che ha suonato in piccole band fin da quando era al liceo e, poi, mentre si laureava, lasciava bigliettini nei negozi di musica per dire che cercava musicisti. La sua band, Del Amitri, è nata così, ed anche se non lo sapete, questa band è la capostipite di uno stile musicale, specialmente scozzese, che continua ancora oggi: ballate di chitarre e voci serie e calme, testi sulla solitudine o la disgregazione sociale, ma senza la rabbia ed il sarcasmo inglese degli Housemartins o il piagnucolio autocelebrativo dei Coldplay. I nomi magari li avete dimenticati: Travis, Wet Wet Wet, Belle and Sebastian, oppure le brutte copie americane, come The Hooters…
Abbiamo un modo nostro di raccontare, dice Justin, e giù a ruffolare tra cose che amiamo entrambi, come le isole Orcadi, il porto di Aberdeen in primavera, e soprattutto lo Struie Hill dopo la pioggia, quando Dio ci ha appena gonfiato il cuore così tanto che il vento freddo è la carezza di un universo che ci riconosce e ci dice che siamo alla fine del viaggio, a casa. La frase finale della canzone di Justin che amo di più: “e saremo tutti soli stanotte, e soli domani”. Una solitudine che è una conquista, un silenzio che, nella canzone, devi imparare ad estrapolare dal rumore insopportabile delle città, quelle in cui “i semafori fanno scattare il rosso quando comunque non c’è nessuno che vada e nessun posto in cui andare”.
Justin chiede se io abbia mai imparato qualcosa da ciò che mi è successo e dagli errori che ho commesso. Certo, rispondo. E sei cambiato, dentro? No, ma ho cambiato modo di affrontare le cose. Esatto, risponde, perché nulla cambia, finché va tutto bene. Cambi quando muori. Mi dice che la band esiste ancora e che suonano in giro, anche se ora, a quasi 60 anni, recitare la tassonomia dei sentimenti ogni sera diventa faticoso. Siamo d’accordo anche su questo: le prove sono più divertenti dei concerti. Non abbiamo una moglie da compiacere, siamo arrivati da soli alla riva della Terza Età. Senza rimpianti, senza pesi, senza paure, senza menzogne.
La telefonata volge al termine. Mi ha fatto piacere, ragazzo strano. Ti abbraccio, gli dico, per gli anni che arrivano, in cui saremo solo un ricordo, l’uno per l’altro. Meglio un ricordo che un sogno, dice Justin, ma c’è qualcuno che lo chiama. Devo andare, dice, suoniamo in un posticino vicino a Dundee. Io resto in casa, rispondo, e vado a dormire. Justin invece, ancora oggi, ha paura di andare a dormire, ci va solo quando è veramente stremato. Il pericolo sono le ore del risveglio, quando sei più cosciente. Ma gli dico: vieni al sud, Justin: la Scozia è bellissima, ma triste. Blu e grigio sono meravigliosi, ma giallo e verde sul viso sono a volte una benedizione. Sei proprio strano, risponde, ed attacca.
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