Musica

La sincerità di Kim Gordon

5 Giugno 2016

Non essendo mai stato un grandissimo fan dei Sonic Youth, ho iniziato a sfogliare “Girl In A Band – L’autobiografia” di Kim Gordon  (Minimum Fax, 310pp., 18€) in modo quasi distratto, leggendone le prime pagine un po’ per capire il “taglio”  – alcune autobiografie di musicisti sembrano scritte un po’ con lo stampino – e confesso di essere rimasto da subito rapito da questo libro.

 

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Ho voluto precisare questo mio “olimpico” distacco dalle vicende del gruppo (che pur ha fatto un sacco di cose interessanti e che mi piacciono) per sottolineare quanto, pur in assenza di particolari aspettative da parte mia, la prosa della Gordon sia riuscita a catturare la mia attenzione, grazie a un’efficace dialettica tra intimo e pubblico, tra quotidiano e sociale, che consente al libro di muoversi su più linee egualmente interessanti.

Innanzitutto le vicende più personali, dall’infanzia “borghese” ma cosmopolita alle problematiche relative alla schizofrenia del fratello Keller, passando per un senso – che la Gordon rende con grande onestà – di perenne inadeguatezza relazionale (“cosa significa essere una ragazza in un gruppo” la domanda che più spesso le viene rivolta negli anni e che giustamente arriva a dare il titolo al libro) e identitaria, per giungere alle dolorose vicende della separazione dal marito e compagno artistico Thurston Moore.

Poi quelle artistiche, la storia della band – e di molti side-projects – che si snoda ricca di spunti e aneddoti, ma mai pedantesca, tra ricordi di come sono nate alcune canzoni e altri di più prosaiche difficoltà pratiche tra le lunghe tournée e i tanti impegni (non ultimo la maternità).

 

E soprattutto l’evocazione continua di un mondo, quello della New York tra gli anni Settanta e i Novanta, in cui rock e arte sono indissolubilmente intrecciati e in cui, inesorabilmente si viene anche a legare l’aspetto commerciale, modaiolo, pubblicitario, che di un’immagine controculturale si nutre sempre più incessantemente. In quest’ottica il racconto della Gordon è lineare e sincero, capace di evocare l’incredibile ambiente degli anni della no-wave e del CBGB’s, vero crogiolo creativo incendiato a volte da vampate rapidissime, così come la lussuosa (ma a volte non meno noiosa) routine dello star-system.

 

È un racconto che, dopo le prime sfolgoranti pagine, si fa inevitabilmente più affastellato di nomi e eventi, dove c’è spazio per un Kurt Cobain cui la Gordon dedica parole di grande umanità (non altrettanto “benevoli” – e la capiamo –  sono i giudizi su Courtney Love), per l’arte di Raymond Pettibon o Mike Kelley e molto altro, ma che non perde mai di tensione.

 

Un libro onesto e interessante, in cui il mondo della Gordon sa evocare un’intera generazione e si lascia leggere come una piccole, grande, saga personale.

 

 

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