Musica

La rivoluzione attuale del Fidelio di Beethoven

8 Dicembre 2014

Correva l’anno 1805 quando al Theatre an der Wien (Teatro di Vienna) venne presentato per la prima volta il Fidelio (Op. 72b) di Beethoven (la prima versione – il cui titolo completo era “Fidelio, oder die eheliche Liebe”; quella finale fu presentata otto anni dopo, di molto accorciata in lunghezza arrivando agli attuali due atti), diretta da Ignaz Von Seyfried. In piena epoca napoleonica e a distanza di una decina d’anni dal Così fan tutte di Mozart (prima rappresentazione al Burgtheatrer di Vienna nel 1790) Beethoven presentava un’opera controcorrente e rivoluzionaria, ieri come oggi: il 7 Dicembre, come da tradizione, i milanesi e il mondo (anche per esigenze di visibilità in vista di EXPO) hanno celebrato l’apertura della nuova stagione del Teatro alla Scala proprio con il Fidelio. Assenti il Presidente della Repubblica Napolitano e il Premier Renzi, presenti il Sindaco Pisapia, il Ministro dei beni e delle attività culturali Franceschini, il Presidente del Senato Grasso e il Presidente della Regione Lombardia Maroni. A dirigere l’orchestra l’ormai indiscusso e amatissimo Daniel Barenboim (alla sua ultima direzione come maestro scaligero) e alla regia una strepitosa Deborah Warner capace di rendere contemporanea (attraverso i molti – più o meno velati – riferimenti moderni) un’opera ambientata in Spagna – Siviglia – nel XVII.

L’esecuzione perfetta ha accompagnato e assecondato le scelte registiche avvalorando la rivoluzionarietà dell’opera. Se Mozart mise in scena un dramma giocoso – ambientato a Napoli – smascheratore delle infedeltà degli amanti in una società votata alla troppa leggerezza – Don Alfonso si giustificava dicendo di aver agito a fin di bene, per rendere più saggi gli sposi, le coppie si ricompongono come in origine e tutti cantano la morale: “Fortunato l’uom che prende / ogni cosa pel buon verso, / e tra i casi e le vicende / da ragion guidar si fa” – Beethoven, con il suo singspiel in due atti ribalta per ben due volte la visione. Un Orfeo e Euridice al contrario dove è la moglie innamorata – Leonore-Fidelio – a operare il tutto: è lei la protagonista (primo ribaltamento: è una donna l’eroina, non un uomo), è lei a dover scendere nelle profondità della terra per ritrovare l’amato Florestan. Per meglio raggiungere il marito nelle prigioni si traveste da uomo, diventa Fidelio e attira su di sé l’amore di Marcellina, figlia del carceriere Rocco (la Warner fa baciare le due soprano, sic!).

Fra i riferimenti “contemporanei”: l’azione scenica si sviluppa sempre in un carcere senza grate, in un sottosuolo a più livelli, dove la luce arriva tenue dall’alto: la scenografia riproduce probabilmente una grande struttura industriale dismessa. Fra i prigionieri si trovano anche dei naufraghi neri, profughi salvati nel mediterraneo(?). Nell’immagine il «cattivo» Don Pizarro veste una giacca nera doppio petto e un maglione nero girocollo (ricorderà qualcuno?) è responsabile dell’incarcerazione di Florestan – probabilmente per motivi ideologici. La liberazione finale avviene come se fosse caduto il muro di Berlino, all’ultimo e più profondo livello della prigione.

È il trionfo dell’amore coniugale. Il senso dell’opera è sì politico – come molto critici hanno sottolineato dato il tema della prigione e dell’ingiustizia – ma in una declinazione ben diversa: il “senso politico” è la verità dell’amore che diviene liberazione dall’ingiustizia (secondo ribaltamento: l’amore ne viene rinforzato non perché abbia attraversato un fallimento ma perché ha passato egregiamente la dura prova). È l’amore senza ideologia che sconfigge il senso ideologico sia della rivendicazione sia dell’incatenamento della libertà. Per questo Beethoven può essere riascoltato ancora oggi come rivoluzionario nonostante il declino dell’istituzione politica e dell’istituzione dell’amore consacrato (che accetta di tutto, anche il bacio con Marcellina).

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