
Musica
La nuova musica di un genio irrequieto
Un concerto monografico dedicato ad Alessandro Stradella in uno dei luoghi del mondo più carichi di storia e di pensiero : il Pantheon di Roma
“Di tutti gli dei”, questo vuol dire Pantheon, che andrebbe accentato Pantheòn (Πανθεῶν) e non Pànteon, il tempio del I secolo che si trova nel cuore di Roma. I cristiani lo convertirono in basilica dedicandola Sanctae Mariae ad Martyres, in italiano, oggi, Basilica di Santa Maria ad Martyres. Vi sono sepolti Vittorio Emanuele II, Umberto I e sua moglie la Regina Margherita e francamente non è il luogo adatto per le loro tombe. Più coerenti, i francesi dedicano il loro Panheon a Parigi, non più chiesa, ma dopo la Rivoluzione divenuto un tempio laico, non a sovrani, ma alle figure illustri della cultura. A Roma la cultura è onorata dalle spoglie di Raffaello e di Arcangelo Corelli. In questo spazio di millenaria cultura, che ha attraversato indenne il passaggio dal mondo antico a quello medievale, rinascimentale e moderno, modello tra l’altro per tutte le chiese di pianta centrale del mondo, tra le prime Santa Sofia, a Instanbul, che non è dedicata a una santa, come si potrebbe credere, ma alla Sapienza (questo significa la parola greca sofia) divina, cioè il Verbo, la seconda persona della Trinità, ed era la cattedrale di Costantinopoli, la nuova capitale dell’Impero Romano, fondata da Costantino sull’antico borgo di Bisanzio, in questo spazio si è ascoltata, lunedì scorso 31 marzo, la musica di un celebre compositore italiano del secolo XVII, Alessandro Stradella. Vita avventurosa, e tumultuosa quanto quella, mezzo secolo prima, di un Caravaggio, morì assassinato a Genova nel 1682 da un fratello geloso, dopo essere stato accoltellato anni prima da un padre possessivo, Alessandro Stradella dà forma quasi definitiva a un genere musicale che avrà grande fortuna: l’oratorio. L’Ensamble Mare Nostrum (Margherita Pupuli, Heriberto Delgado, violini; Marc de la Linde, viola da gamba: Giulio Falzome, tiorba; Juan José Francione, arciliuto; Margherita Burattini, arpa doppia; Amleto Matteucci, contrabbasso e Lucia Di Nicola, clavicembalo e organo), diretto da Andrea De Carlo, con la partecipazione del soprano Silvia Frigato e del controtenore Danilo Pastore, hanno eseguito pagine da La Susanna (Modena, 1681), San Giovanni Battista (Roma, 1675), Novello Sansone (Roma, 1671), La forza dell’amor paterno (Genova, 1678), Scipione Affricano (Roma, 1671), Le gare dell’amor eroico (Genova, 1679), senza soluzione di continuità. Straordinario l’impasto timbrico del complesso, l’evidenza dei bassi, com’è regola nella musica di questo periodo, la libertà degl’interventi concertanti dei due violini, e, soprattutto il respiro fluido del fraseggio. Pur troppo è apparsa nell’insieme invece inadeguato, anche se corretto, ma di corto respiro e di labile materia sonora, l’intervento del controtenore, mentre di una limpida precisione e intensa espressione è apparso il canto, magnifico, del soprano. La manifestazione ha avuto il sostegno del Ministero della Cultura, del Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati e la collaborazione della IUC (Istituzione Univesitaria dei Concerti). In alcuni momenti si è toccato il sublime nella definizione di un affetto con la musica: per esempio nell’aria “Lasso, che feci”, dalla Forza dell’amor paterno, nell’aria “sorte crudele” da Le gare dell’amor eroico, e nell’aria “Da chi spero aita” da La Susanna, tutte cantate da Silvia Frigato con delicata finezza, e un’attenta cura per lo spessore di volta in volta necessario della voce. Ammirevole, pertanto, il controllo dell’emissione appropriata per ogni momento dell’aria in cui debba definirsi un particolare affetto, il quale non può essere ottenuto se non con il sicuro controllo dell’effetto che si vuole ottenere. Il pubblico accorso nella basilica ha tributato agli artisti, e al direttore Andrea De Carlo i dovuti e meritatissimi applausi.
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