Musica
La musica, il racconto e la guerra: beja
È un caso non voluto quello che ha portato alla pubblicazione di questo video – di cui l’articolo che leggerete è solo un’umile introduzione – in questi tragici giorni. Due punti sono però fondamentali da mettere a fuoco in questi tempi: la necessità di una narrazione che non sia solo quella meramente informativa e la forza vitale e vibrante dell’arte. Ecco allora il senso di questa pubblicazione.
A un Rabbi, il cui nonno era stato discepolo del Baalshem, fu chiesto di raccontare una storia. “Una storia” disse egli, “va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto”. E raccontò: “Mio nonno era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro. Allora raccontò come il santo Baalshem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e cantando come facesse il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie” [M. Buber, I racconti di Chassidim].
Esiste un legame sottile fra il racconto di Buber sopra riportato e il video musicale ivi presentato per la prima volta al pubblico. In lingua curda “beja” significa all’incirca “raccontami“, richiama l’idea del raccontare, di una storia attesa da qualcuno pronto ad accoglierla e a farsi attraversare da essa. Gli autori non a caso hanno scelto questa espressione per dare il titolo a un brano originariamente scaturito da una personale trasposizione in musica dell’esperienza di guerra, richiamandosi più in generale all’esigenza tutta umana di raccontarsi e di raccontare i propri vissuti, soprattutto quelli di marginalità e di conflitto. Il risultato è un racconto senza parole ma in cui si tradisce chiaramente l’intenzione narrativa scandita dai diversi momenti musicali.
Beja rappresenta anche il primo frutto del sodalizio fra Ashti Abdo, musicista curdo ormai da anni trasferito a Lodi e altri due musicisti di area lodigiana, Angelo Petraglia e Francesco Forzani. Il loro progetto difficilmente risulta ascrivibile a un genere musicale predefinito, ricercando piuttosto una sintesi che raccolga, in una voce, il più possibile unitaria e originale, le diverse esperienze musicali dei singoli membri (musica etnica, jazz, rock, musica improvvisata…). In questo magma di sonorità, il filo conduttore può essere forse rintracciato proprio nell’idea di brani che si snodano come racconti e in cui, a somiglianza dei miti antichi, la traccia narrativa lascia sempre spazio all’improvvisazione, all’espressione estemporanea.
Buon ascolto e buona visione.
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