Musica

“La musica fa società, ma le istituzioni se ne sono dimenticate”

4 Dicembre 2017

«Le istituzioni, sia a livello locale che nazionale, devono tornare a investire sulla musica come elemento connettivo imprescindibile del tessuto sociale, seguendo l’esempio virtuoso di Olanda, Germania e dei paesi Scandinavi». Ad affermarlo è il giornalista Valerio Bassan, che ha condotto il tavolo dal titolo “Il musicista precario: dalle cantine degli anni 80 a Youtube, come (non) si campa facendo musica”, un vero e proprio viaggio nella storia del fare musica dagli anni 80 ad oggi, dallo shift tecnologico al cambiamento dei paradigmi di mercato, con interlocutori che hanno attraversato questi decenni, dagli scantinati a Spotify.

Di cosa avete parlato durante il tavolo che hai condotto?

Abbiamo parlato dell’evoluzione del mestiere del musicista a fronte della trasformazione dell’industria musicale, cambiata profondamente nel corso degli ultimi vent’anni: dai tempi di Napster a quelli di Spotify, abbiamo cercato di capire quali sono le opportunità e i rischi per chi oggi vuole fare della musica la sua vita professionale. È emersa una generale difficoltà per i musicisti a livello economico, già diffusa negli anni Ottanta e Novanta e oggi esacerbata dalla disintermediazione fornita dalle piattaforme di streaming digitale che i panelist hanno definito unanimemente come un “furto legalizzato”. Tra gli altri punti toccati: la consistenza (o presunta tale) delle nuove scene musicali, dal nuovo cantautorato degli anni Zero alla trap di Ghali e Sfera Ebbasta; la necessità di investimenti sul territorio per promuovere gli emergenti; il ruolo di presunti ‘influencer’ a indirizzare il mercato discografico, soprattutto dai palchi dei talent show. Tutti i panelist si sono definiti concordi nell’identificare i concerti come la fondamentale – se non unica – fonte di reddito per il musicista, oggi più che mai.

Quali sono state le parole chiave emerse dalla discussione?

Fanbase, talent show, social media, distribuzione digitale, live, educazione musicale, investimenti.

Rispetto al futuro del tema discusso, quali paure e quali speranze sono emerse tra i partecipanti?

La speranza è che le istituzioni, sia a livello locale che nazionale, possano tornare a investire sulla musica come elemento connettivo imprescindibile del tessuto sociale, seguendo l’esempio virtuoso di Olanda, Germania e paesi Scandinavi, citati come modelli di eccellenza. La paura è quella che non si riesca a uscire da un circolo vizioso che vede gli artisti guadagnare sempre meno, seguendo logiche d’industria che penalizzando anche l’aspetto creativo della produzione musicale, premiando invece singoli e canzoni ‘one-shot’ che difficilmente resisteranno alla prova del tempo.

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