Musica

La musica è un megafono per stimolare le coscienze: intervista a Maurizio Capone

29 Febbraio 2020

Si chiama “Gli Ultimi Saranno”, è curato da Raffaele Bruno direttore artistico del collettivo “Delirio creativo”, ed è solo uno dei molti progetti che vedono impegnato Maurizio Capone, cantautore e musicista poliedrico, sperimentatore e creatore di strumenti riciclati che suona con Capone & Bungt Bangt. Lo scopo del progetto è offrire forme di creatività come strumento di riscatto, evoluzione e rinascita. È così che non-luoghi come le carceri, con una platea assetata di opportunità, diventano palcoscenico per illustrare nuove forme di vita sociale e lavorativa ma anche di presa di coscienza civile. Lo spettacolo sarà a Bollate il 23 marzo, a Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile e a Rebibbia l’11 maggio.

Capone in questo contesto offrirà ancora una volta la sua esperienza di musicista e anima sensibile su temi quali l’ambiente, la legalità e l’anti razzismo. Ha dedicato la sua carriera all’impegno civile e sociale guadagnandosi riconoscimenti dal mondo del non profit. Fa laboratori nelle scuole, nelle zone a rischio, nelle università e nei conservatori insegnando a migliaia di persone un approccio creativo e positivo alla vita nel rispetto. Ha vinto anche il Premio Musica e Cultura Peppino Impastato. Lo abbiamo incontrato.

Nel 1999 hai fondato Capone & Bungt Bangt. Cosa ti ha spinto a voler suonare con strumenti creati da materiali riciclati?

Sono sempre stato un musicista alla ricerca di suoni nuovi ed unici, già negli anni ottanta, con la mia prima band i 666, nel mio set tra gli strumenti convenzionali ce ne erano alcuni costruiti da me riciclando materiali. Poi negli anni novanta sono diventato uno degli esponenti del drum ‘n bass ed utilizzavo tantissimo il campionatore, quello che campionavo erano suoni provenienti da cose comuni, cose che nessuno pensava potessero avere un suono valido. Così quando nel 1999 ho avuto la proposta del mio amico e produttore cinematografico Umberto Massa di scrivere uno spettacolo per percussioni, decidemmo di utilizzare cose alternative al posto degli strumenti convenzionali. Da lì è partita la ricerca sistematica ed approfondita che ci ha portato a creare un modo di suoni e note fuori dal comune aprendomi tante porte che hanno soddisfatto anche il mio grande amore e rispetto per la natura e per le aree difficili del sociale.

Maurizio Capone

La tua carriera musicale, da solista, compositore, membro di band, racconta un forte e costante impegno civile. Hai ricevuto riconoscimenti da Legambiente, Libera contro le mafie… Come mai hai deciso di impegnarti nel sociale attraverso la tua musica?

Io non l’ho deciso, è stato un gesto spontaneo, del tutto istintivo. Sono cresciuto con un grande senso di giustizia, i miei eroi dell’infanzia sono stati i Nativi Americani, Muhammad Ali e tutto il movimento afro americano. Quando ho cominciato a fare musica professionalmente avevo 15 anni ed era la fine degli anni settanta, eravamo tutti molto impegnati ed attenti alla politica ed alle contraddizioni della società. Quando un paio di anni dopo entrai nei 666 cominciai a scrivere testi e la mia penna scriveva sempre di quello che colpiva la mia coscienza, e quando nell’84 fu ucciso a pochi passi da casa mia Giancarlo Siani ci venne spontaneo scrivere per lui il brano Troppo In Fondo, che in seguito ebbe attenzione da Pino Daniele che ci produsse per tre anni e che è stata riconosciuta come la prima canzone contro la camorra mai scritta da artisti napoletani. Quello forse è stato il momento nel quale mi sono reso conto che la mia indole andava decisamente verso la lotta alle ingiustizie. Così potrei raccontartene tante fino ai giorni nostri con White Black scritta per sottolineare le similitudini tra emigranti italiani e nuovi migranti o Le Mani Nel Sole ispirata ai Fridays For Future. Quindi vedi, non è una scelta ma semplicemente un modo di essere, la musica per me è un megafono per stimolare le coscienze nella consapevolezza che se ci fosse maggiore equilibrio, giustizia e soprattutto uguaglianza vivremmo tutti molto meglio.

Un artista non rischia di tagliare fuori una fetta di pubblico schierandosi in un modo o nell’altro?

Si forse si, so che se scrivessi più canzoni sull’amore di coppia avrei molto più successo, le poche che ho scritto hanno sempre colpito molto. Ma quando scrivo mi piace provocare la società, in fondo le mie sono canzoni d’amore ma rivolte all’umanità intera. Non amo il melodramma, vivo immerso nelle realtà metropolitane e mi piace raccontarle, coglierne le contraddizioni mi aiuta a crescere come persona e a vivere il presente, cosa per me fondamentale. Credo che un artista possa essere da stimolo a prescindere da quale sia la strada più facile per il successo. Non ho mai pensato di fare il musicista per raggiungere la notorietà in qualunque modo possibile. A me piace il successo, sia chiaro, ma mi piace raggiungerlo a modo mio, cioè in una modalità che mi rispecchia e che soprattutto descriva il mio mondo interiore senza piegarmi alle leggi imposte dal mercato, e se sono fatto così non posso che accettarmi e continuare a fare quello che faccio. E comunque mi diverto un sacco, mi sento una persona abbastanza libera e sicuramente fortunata!

Capone & Bungt Bangt
Capone & Bungt Bangt

Con Maurizio Braucci curi la regia teatrale di Arrevuoto, spettacolo con 150 ragazzi di centro e periferia di Napoli che tornerà in scena il 24 e 25 maggio al teatro San Ferdinando. Com’è dirigere così tanti giovani? Cos’hai imparato da e con loro?

La mia relazione con le nuove generazioni è molto intensa, non ho mai perso contatto con il nuovo, anzi ritengo orgogliosamente di farne ancora parte. Come adulto ho sviluppato una capacità di comunicare che parte dal grande affetto che provo per i ragazzi, mi rivedo in loro e rivedo le mie paure, i miei dubbi, i miei sogni e tutto quello a cui crescendo sono riuscito in parte a dare risposta. La mia curiosità infinità e la consapevolezza di non sapere tutto, anzi di voler conoscere ancora mi aiuta molto nella relazione, ritengo che i ragazzi siano i miei maestri del mondo e dei linguaggi moderni e che se voglio imparare devo ascoltarli e coglierne gli insegnamenti. Nei miei laboratori non esercito nessun potere coercitivo, piuttosto stimolo l’autodisciplina che è lo strumento che ci permette di raggiungere i nostri obbiettivi personali, a prescindere da quello che gli altri vogliono che noi facciamo. Questo è servito a me per raggiungere i miei e credo possa servire a loro per raggiungere i loro. In Arrevuoto curo le musiche con un gruppo di ragazzi quindi ho un ruolo trasversale perchè entro i tutti i segmenti dello spettacolo, conosco oltre ai giovani musicisti anche i giovani attori che a volte coinvolgiamo nella performance musicale utilizzando anche strumenti fatti con materiali riciclati. Maurizio Bracci come direttore artistico propone opere dai grandi contenuti sociali e per questo sono sempre a mio agio nell’interpretazione delle tematiche che lui suggerisce, è un progetto molto interessante e sempre in movimento.

Fai parte di “Gli ultimi saranno”, un collettivo composto da artisti che ha il proposito di creare legami tra società civile e persone appartenenti a realtà socialmente periferiche attraverso l’espressione artistica. Avete in programma un tour nelle carceri. Sarete a Bollate, Rebibbia, Modena, Santa Maria Capua Vetere. In cosa consistono questi appuntamenti nelle carceri? Cosa ti lasciano gli incontri con i detenuti?

Anche questa è un’esperienza di grandi emozioni. Siamo già stati in venti carceri e abbiamo anche fatto un concerto a Montecitorio portando con noi una ventina di detenuti dalle carceri nelle quali eravamo stati. Il nostro è uno spettacolo aperto perchè abbiamo un canovaccio intorno al quale inseriamo le performace dei detenuti. Quindi non è uno spettacolo frontale dove c’è l’artista ed il pubblico, ma una sorta di cerchio che coinvolge tutti. Abbiamo ascoltato racconti emozionanti, le persone detenute hanno storie toccanti che ti fanno capire quanta umanità c’è e soprattutto, in alcuni casi, come sia labile il confine che può condurti nel baratro. Io personalmente ho incontrato persone che conoscevo, ragazzi provenienti da aree difficili che hanno fatto dei laboratori con me e che crescendo hanno commesso reati. So perfettamente quanto sia facile delinquere quando si è poveri e quanto la società etichetti le persone che hanno una vita meno fortunata. Grazie alla mia esperienza decennale, avendo fatto tanti laboratori nelle carceri, e al fatto che suono strumenti fatti dalla spazzatura, l’accoglienza che mi danno i detenuti è commovente, mi sento di rappresentare con semplicità e senza retorica quei mondi sommersi che sono proprio quelli a cui vogliamo dare voce.

“Gli Ultimi Saranno” è un progetto ideato da Raffaele Bruno che coinvolge altri bravissimi artisti: Massimo Blindur De Vita, Enzo Luk Colursi e Federica Palo. In ogni concerto ospitiamo anche altri artisti che hanno voglia di dare il loro contributo e fare questa esperienza unica. Siamo una piccola tribù che invade pacificamente il carcere e porta una visione totalmente diversa dello spazio e delle relazioni tra le persone. Il nostro contributo è indirizzato anche ai lavoratori del carcere, direttore, guardie ed operatori per stimolare una visione più aperta ed emozionale dei rapporti. Potrei dire che siamo dei ricercatori di armonia.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Ho sempre tante cose che bollono in pentola ma ce ne è una che sta per diventare pubblica ed è un’altra bella avventura in un contesto molto particolare. Abbiamo realizzato un brano che sicuramente sarà molto apprezzato dalla tifoseria napoletana. Germano Bellavia, il “Guido” di Un Posto al Sole, ha coinvolto diversi artisti per realizzare una canzone scritta da Antonio Leone, ultras autore di diversi slogan del tifo delle curve. A me è stato chiesto di cantare e suonare. Abbiamo girato anche un video allo stadio San Paolo per farne un dvd che comprenderà anche il nostro brano Il Ballo Del Por Pon Pof dove abbiamo Germano come protagonista. I proventi della vendita del cd/dvd saranno  devoluti in beneficenza all’associazione “Ciro vive”, con la quale Antonella Leardi, mamma di Ciro, porta avanti la memoria del figlio tramite opere concrete di sostegno ai più deboli, con particolare attenzione ai bambini affetti da malattie incurabili. Insomma, un’iniziativa che attraverso il tifo vuole essere un esempio di amore.
Per quanto riguarda i concerti stiamo organizzando un tour in collaborazione con i Fridays For Future dopo che abbiamo pubblicato Le Mani Nel Sole dedicato a questo grande movimento internazionale.

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