Musica
La musica bisestile. Giorno 97. Laura Nyro
MORE THAN A NEW DISCOVERY
Ero a casa di comuni amici miei e di Eddie. Non facevamo nulla. A volte era così. Seduti in cucina, chiacchiere, sogni, forse un caffè. Lei entrò come un temporale, di cattivissimo umore, bellissima di una follia arcinota, piena di rabbia contro la vita, perfetta sconosciuta eppure sempre saputa. Si rivolse con sgarbo ad Eddie, indicando me: “Sto coso qui è quel fascista di Cinquepalmi?” E poi, a me: “Che c’è ti sei ingoiato la lingua?” Come si sia passati da questo sbadabam all’essere abbracciati a Villa Borghese non lo so, non me ne capacito, perché sono certo che fu tutto nello stesso giorno di inizio estate.
Stava malissimo. Era rimasta incinta di un eroe che, saputo il fatto, era scomparso. Lei avrebbe voluto tenerlo, ma da sola non se l’era sentita. Non aveva amici, era considerata una vipera, la ragazza più bella del Mamiani (disse poi Massimo Santori), bramata da tutti i lui e schifata da tutte le lei. Per me era solo una stupenda sirena colpita a morte, che reagiva così per non far vedere quanto la ferita fosse profonda. Ovviamente io non ne feci una giusta. Non sapevo come comportarmi, quindi fui un pasticcione pazzesco, divelto tra gelosia ingiustificata (che in realtà era complesso di inferiorità) ed attitudini da gradasso pulcinellesco, ridicolo da impazzire.
Ma ero bello come quel fascista che lei aveva menzionato, mi trovava bello da morire e tremava quando ci baciavamo. Naturalmente leggeva libri ed ascoltava dischi a me sconosciuti. Cose meravigliose, che hanno immediatamente cambiato il mio modo di vedere le cose: Buzzati, Fenoglio, Landolfi, Fromm, Ferrarotti, Toni Negri, Gyorggy Lukacs, Stormy Six, Stomu Yamashta, Soft Machine, Gong. E poi lei, Laura Nyro. Ancora oggi non posso ascoltare quella musica senza sentire il suo odore, percepire il dolore della mia incapacità di starle vicina come avrebbe meritato.
Dopo l’estate lei scomparve, ed io rinunciai a correrle dietro. Sapevo di essere stato inadeguato, e lei era pronta per qualcosa di più serio. Oggi dirige il padiglione psichiatrico di un ospedale, mi fa piacere, sono contento che ce l’abbia fatta. Sono contento di essere stato capace di conservare così tanto da soli tre mesi in cui l’ho vista rinascere, passo dopo passo, nonostante me, e di avere ancora i dischi che comprammo insieme. Quelli di Laura Nyro. La musica di una ragazza un quarto russa, un quarto italiana, due quarti ebrea, perduta nella solitudine di New York, che scrive canzoni piene di allegria e dolore che tutti amano, e che oltre due dozzine di artisti famosi portano al successo: Joni Mitchell, Blood Sweat & Tears, Barbra Streisand, e nemmeno immaginate quanti altri.
Lei, invece, sul palco era un disastro. Tremava, balbettava, a Monterey il pubblico le urlò contro finché non abbandonò il palco. Finché incontrò David Geffen, che la portò nella sua etichetta, e la allenò per mesi, ricostruendo voce, atteggiamento, arrangiamenti, le diede sicurezza, fece dei dischi stupendi, le portò un’agiatezza economica che non aveva mai avuta. Dopo alcune relazioni finite in guerre folli (tra l’altro con Jackson Browne), trovò il grande amore in una pittrice, Maria Desiderio, e decise di smettere. Le due ragazze hanno vissuto da sole, grazie ai soldi che avevano guadagnato negli anni della vita pubblica, finché Laura non si è ammalata di cancro ed è morta. Le biografie dicono che sia stata felice. Io lo spero con tutto il cuore, perché era un òulcino bagnato ed indifeso, non una gatta infuriata come Gabriella, che di tutto aveva bisogno, tranne di essere protetta da un coglione come me. Questo è il primo disco di laura Nyro, fatto di canzoni scritte quando ancora andava al liceo. Un capolavoro inarrivabile.
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