Musica

La musica bisestile. Giorno 84. Elelctric Light Orchestra

17 Ottobre 2018

DISCOVERY

 

In principio fu “The move”, e la meravigliosa “Blackberry Way”, che in italiano venne tradotta dalla Equipe 84 in “Tutta mia la Città”. Poi la crisi, e l’idea che la direzione giusta per il nuovo beat fosse orchestrale, partendo dalle esperienze fatte dai Beatles e dai primi Blood Sweat & Tears, pur cercando di restare fedeli al beat, al rock, e camminando paralleli ad altri giganti simili, che nel frattempo avevano incontrato la discomusic e cercavano di svilupparne una modalità per “bianchi”: i Roxy Music, i Bee Gees. i Supertramp, i Toto, gli Styx. Quindi venne il cambio di nome in Electric Light Orchestra ed alcuni dischi leccati, frigidi, lenti, compassati, come una band di orchestrali classici che vuole scopiazzare Paul McCartney & Wings, alla ricerca di quel sound di tastiere elettriche che sarà la caratteristica principale degli anni 80.

“Discovery”, 1979

Il disco l’ho scoperto per caso, circa un anno dopo che era uscito, perché insieme a Edgardo Gulotta, Massimo Santori, Renato Votta e Riccardo Verità guidavo una trasmissione in una radio privata romana, di cui nemmeno ricordo il nome. La trasmissione si chiamava “Aspettando Godot”, veniva aperta da “Swingtown” della Steve Miller Band e voleva essere una sorta di talk-show politico giovanile, di cui non ricordo nemmeno un tema. Ricordo che a Riccardo piacevano i Dire Straits, e che Renato ci ammorbava con Leo Ferré. Ricordo che Eddie era l’unico ad essere veramente spiritoso, e credo di ricordare che si stufò presto di fare quella cosa insieme a noi patacconi frustrati e pseudo-impegnati.

“Discovery”, a quei tempi, lo rifiutai in blocco, perché non era ligio ai dettami della musica che ascoltavo – e quindi canticchiavo solo segretamente “Don’t Bring me Down”. Poi, tanti anni dopo, mi è capitato di vedere la band dal vivo, e solo in quel momento ne ho capita la grandezza. Ho capito che aveva pressione, sostanza, complessità armonica, e chissenefrega delle vocette che mi innervosivano. Oggi vi dico che questo, uscito nel 79, è stato uno dei tre o quattro album degli anni 80 che salverei dal diluvio universale, perché è bello, e perché dice molto del gusto e del flair di quegli anni di civettuola disperazione. E si può fare rock anche con la viola ed il sintetizzatore montati in sequenza armonica. Rispetto a The Move, la band da cui questi ragazzi venivano, erano passati eoni. Per cui la hit dei Move ve la metto solo perché smettiate di credere che Maurizio Vandelli e l’Equipe 84 abbiano mai soignificato qualcosa, musicalmente.

 

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