Musica
La musica bisestile. Giorno 81. America
HOMECOMING
Il jukebox del baretto della spiaggia del Lido dei Gigli aveva alcune canzoni veramente notevoli, come “Theme One” di Cozy Powell nella versione dei Van der Graaf Generators, alcune gemme di Gilbert O’Sullivan, “Fox on the Run”, “I Gotcha” di Joe Tex, “Davy’s on the Road Again” e “Mighty Quinn” della Manfred Mann’s Earth Band, insomma un torrente di buona musica, mischiata ovviamente alla musica leggera corrente. Ma la canzone che mi aveva colpito più di tutte era “Ventura Highway” degli America – un trio di tre amici crsciuti in Germania con il mito degli USA, figli di marines di stanza in Inghilterra, che arrivarono all’agognata California solo dopo essere diventati famosi.
Famosi lo divennero dopo aver suonato in alcuni club londinesi ed essere finito sotto l’ala protettrice di George Martin, il produttore dei Beatles. Scrivevano ballate autunnali e citavano nelle interviste Ray Bradbury, che allora, grazie a “Cronache marziane”, era il mio scrittore di riferimento. “Saturn Nights” mi faceva sognare di essere il ragazzino poi descritto in “Extraterrestre” di Finardi, ma più in generale tutta l’ondata di bluegrass-rock, incrociato con la psichedelia, che era partito da Donovan, e paradossalmente era più europeo che americano, mi faceva sognare. Blu notte, verde scurissimo, viola, tutta un’atmosfera imperniata all’incontro con altri mondi, con nostalgie ataviche, che poi si trasformava nel mito dell’alieno che non scende in città, ma in aperta campagna, come in “ET” ed “Incontri ravvicinati del terzo tipo” – più oin generale consostanziati nei ruoli di RichardDreyfus in moltissimi film, compreso il capolavoro “Stand by me”.
Insomma, gli America, pur essendo cresciuti nelle grandi città industruiali europee, suonavano le grandi praterie degli USA e del confinante spazio intergalattico. Nel primo disco avevano avuto una hit surreale di questo tipo, “Horse with no Name”, che veramente conosce e canta ancora tutto il mondo, e che era caratterizzata dai cori voluti da George Martin, che aveva costruito gli America come una sintesi tra Moody Blues, Creedence Clearwater Revival e Beatles. Mi piacevano (mi piacciono ancora) le chitarre che si incrociano, un po’ westcoast ed un po’ gaelic rock, eppure così americane, nelle sonorità. Sono convinto che le canzoni che ho scelto, da questo disco, da cui uscirono cinque singoli (!), le conoscerete tutti – e vi ricorderanno quegli anni dolci e solari del Lido dei Gigli… e magari, come me, vi ricorderete di aver cantato mille volte quel ritornello ad una ragazzina che si era perduta nei labirinti dell’adolescenza e che eravamo troppo piccoli e timidi per saper aiutare: “I’ve been waiting every morning, Just to help you find your way, I’ve been standing on your corner, Don’t go away”
https://www.youtube.com/watch?v=HWlnJoO7_yY
https://www.youtube.com/watch?v=cQCjHC0m54E
https://www.youtube.com/watch?v=oEHBTjIYejE
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