Musica
La musica bisestile. Giorno 73. Stevie Wonder
SONGS IN THE KEY OF LIFE
Spero siate d’accordo nel definire Stevie Wonder il Mozart del 20° secolo. Nonostante fosse già cieco (o forse proprio per questo) a 11 anni suonava già tutto (tastiere, fiati, violini, chitarre, batteria) a livello professionale, e componeva ad un livello talmente alto che la Motown lo mise sotto contratto. A soli 11 anni. E lui ha ricambiato scrivendo centinaia di canzoni di grande successo e, negli anni 70, registrando una serie di album a metà strada tra il soul, il jazz ed il rock, in cui lui suonava, per l’appunto, tutto, ed aveva creato melodie complesse, armonie desuete e mai scontate, ritmi cangianti e sorprendenti. Insieme alla sua moglie di allora, Syreeta Wright, a poco più ddi 20 anni Stevie scriveva brani indimenticabili.
Il suo album del 1973, “Innervisions”, è considerato uno dei migliori della musica moderna, ma io preferisco il successivo, perché tra i due dischi accadono cose fondamentali. Prima cosa: Stevie entra in politica, si batte per trasformare in festa nazionale il giorno della nascita di Martin Luther King, suona un concerto folle a Kingston per finanziare la ricerca e la cura dei ciechi in Centroamerica. Poi viene coinvolto in un incidente tremendo tra l’auto in cui viaggiava ed un camion, rimanendo per diversi giorni tra la vita e la morte, dopodiché dovette fare più di un anno di riabilitazione prima di tornare alla piena funzionalità del corpo e della mente.
Sicché tra i due album ci sono tre anni. Tre anni in cui Stevie, nella sua mente, ha collezionato melodie e rabbia, saggezza ed esperienza, senza perdere nulla in freschezza e creatività. Voleva andare a vivere in Ghana per combattere da lì l’influenza nefasta delle multinazionali americane. Per farlo aveva bisogno di soldi, e questo avrebbe dovuto essere il suo album di addio. Sicché tutti i musicisti più famosi del mondo sgomitarono per poterne far parte, ed alla fine ci sono oltre 130 partecipazioni speciali alle canzoni: Michael Sembello, George Benson, Herbie Hancock, Jim Horn, Minnie Riperton, e poi la crema della musica nera americana degli anni 70.
Per giunta, queste canzoni erano così tante da non entrare in un disco doppio, per cui aggiunsero un terzo disco con quattro brani. Stevie non volle riunciare a nulla, nessuna canzone è rimasta fuori dalla selezione, perché anche lui sentiva che fosse un disco finale. Da qui, anche, il mio amore per questo album, che è un’esplosione di vita, di rabbia, di gioia, di creatività – ed è effettivamente l’ultimo. Da lì in poi, purtroppo, Stevie Wonder registrerà successi mondiali con musica sempre più commerciale e dimenticabile. Ma questa pietra miliare, da sola, giustifica tantissime vite di artista, quindi…
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