Musica
La musica bisestile. Giorno 55. The Gentle Giant
THE POWER AND THE GLORY
Si può essere una delle band più famose del mondo, avere migliaia di persone scatenate ad ogni concerto, e non vendere mai abbastanza dischi per convincere la casa discografica che valga la pena continuare? Chiedetelo a Kerry Minnear, a Gary Green ed ai tre fratelli Shulman che, sciolta per noia Simon Dupree nel 1968, si misero insieme per far uscire un disco segreto, “The Moles”, che venne distribuito come un bootleg proibito dei Beatles, o dei Rolling Stones, senza note di copertina, che per un anno divenne una sorta di Sacro Graal della scena rock, finché Syd Barrett, il cantante dei Pink Floyd, non riconobbe le voci dei fratelli Shulman e svelò lo scherzo su un giornale musicale londinese.Quel disco, oggi, vale 3000 Euro, che io non ho. Ve ne ho aggiunto un assaggio come quinta proposta video di questa scheda.
A quel punto la nuova band era già nata, anche se non aveva pubblicazioni ufficiali e non suonava da nessuna parte. Il produttore di David Bowie, Tony Visconti, li portò in studio, e registrò in pochi giorni il materiale che avevano: tanto, dissonante, complicatissimo, in cui ognuno suonava più strumenti, e la cui registrazione fu un disastro a causa della cattiva qualità dello studio e del pochissimo tempo a disposizione. Ma il dado era tratto, Gentle Giant era nato, i dischi successivi hanno mostrato tutta la straordinaria bravura e complessità di cinque scozzesi che, mescolando pop, rock, vaudeville, musica classica inglese, jazz, dichiararono i Pink Floyd lenti e pomposi e partirono per un viaggio siderale in cui si cambiava ritmo a metà di un accordo, si saliva e scendeva di tono nel mezzo di un coro, i salti sono quasi tutti di quarta e di sesta – un casino.
A ciò si aggiunga il fatto che, quando iniziavano a scrivere, partivano già con il concetto di un album, e mai di singoli brani. Ognuno dei loro album è un libro con una storia, a volte i testi continuano di canzone in canzone. Chi li ha paragonati ai Genesis di Peter Gabriel non ha torto, ma Gabriel era in grado di raccontare una storia in otto minuti, loro no. Ed alla fine si sfasciarono per questo: perché non sono mai riusciti ad avere il successo che si sogna da ragazzini, perché non esiste nessun singolo che tutto il mondo ricordi e colleghi con la memoria a loro.
L’album che ho scelto, e che a mio parere è uno dei migliori in assoluto della storia del rock, tratta della corruzione e del modo sottile e complice con cui chi comanda e chi obbedisce sviluppano un’unità in cui l’ipocrisia è il valore fondante dell’intero sistema. Un disco estremamente pessimistico, marziale, roboante, in parte settecentesco, in parte di un futuro non ancora esplicabile, ed è una delle cose più incredibili che io abbia mai ascoltato. Credo anzi che, insieme a Gaber, ai Led Zeppelin ed ai Genesis, sia l’unico album che, a 44 anni dalla prima volta, ascolto ancora per giornate intere, deliziato, commosso, partecipe, e mi capita ancora di percepire minuzie di cui non mi ero reso conto.
Anche questo disco l’ho conosciuto attraverso Daniele Bevar, come tante delle cose migliori che ho conosciuto in vita mia. L’influenza, che Daniele ha avuto sulla mia vita, non è minimamente spiegabile, specie se si pensa al fatto che, quando litigammo, fu colpa mia, perché combinai (da bambino geloso) qualcosa di imperdonabile. Come altre volte, ruppi tutto per la rabbia che provavo soffrendo. Il che non mi giustifica, né mi rende eleggibile per un’inutile assoluzione. Le cazzate che abbiamo combinato sono monumenti in titanio, che nemmeno il tempo può scalfire. Ma lo stesso vale per le cose belle. E questo disco, anche se magari è patetico dirlo, è il monumento al bello di quella età, di quell’amicizia, del modo di percepire musica e parole, del modo di respirare e lasciar battere il cuore.
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