Musica

La musica bisestile. Giorno 52. Ringo Starr

1 Ottobre 2018

RINGO

 

I Beatles si erano appena sciolti e ricordo che si diceva che tutti loro sarebbero stati perfettamente in grado di eccellere in una carriera solista, tranne uno: Ringo, che era il meno musicista di tutti. Ed in effetti, lui ha scritto pochissime canzoni, già al tempo dei Beatles: “Don’t pass me by” per l’album bianco del 1968, “Octopus’s Garden” per il successivo “Abbey Road” del 1969. Per il resto si era messo a fare casino: attore in film scadenti, topo-mostro in “200 Motels” di Frank Zappa, folletto per parties da entrambe le parti dell’oceano, batterista ospite in decine di album di artisti famosi. Due album propri, scadenti, di nessun successo.

“Ringo”, 1973

Poi questo “Ringo”, con una produzione sontuosa in ogni particolare, anche nella copertina con il bellissimo booklet a disegni di Tim Bruckner e Klaus Voorman. “Ringo” arrivò in classifica ovunque. Ci arrivò perché tutti gli amici gli avevano regalato belle canzoni, perché nel disco suona la crema del pop anglosassone dell’epoca, perché finalmente promozione, distribuzione e booking management vennero fatti come si deve.

Una copia del disco lo aveva Mauro Franzero, che all’epoca era il mio migliore amico. A lui non piaceva, e me lo prestò per mesi, finché non lasciò Roma per stabilirsi in Friuli e lo portò giustamente via con sé. Io sono rimasto senza per anni, perché trovavo soltanto l’edizione economica senza il booklet, che a mio avviso è metà del valore del disco. Ed oggi devo dire che l’ho desiderato talmente tanto, che quando l’ho trovato, quasi 20 anni dopo, l’ho pagato uno stonfo, molti al di là del suo vero valore commerciale. Ma questo è il disco-meraviglia per un bambino della mia generazione, ascoltandolo ci troverete le armonie che mi calmavano, mi eccitavano, che avevano per me un significato al di là dei testi e delle mode.

Ricordo che cantavo le canzoni a memoria, dondolando, mentre facevo lunghe camminate da solo, tornando da scuola o per annegare il tempo di lunghi pomeriggi di solitudine, in cui ragionavo, senza averne i mezzi, di futuro, di politica, di arte e grandi amori. Ricordo che alcune di queste canzoni avevano il valore di un mantra, e che l’immagine di “Devil Woman”, disegnata sul booklet, mi metteva una paura terribile – la paura che avevo comunque delle ragazze. E se oggi sono costretto ad ammettere che la qualità dell’album non sia poi così unica e straordinaria, il bimbo in me si oppone, e si rifiuta persino di chiamarlo disco di formazione. Paolo bambino era così, come l’immagine arruffata di Ringo, e cantava canzoncine sceme come quelle di questo album – ed il futuro era ancora un’esperienza bella e pulita.

https://www.youtube.com/watch?v=mZ4EmA5X-PQ

https://www.youtube.com/watch?v=Xroiz9ssBIU

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