Musica
La musica bisestile. Giorno 44. Piero Brega e il Canzoniere del Lazio
LASSA STA LA ME CREATURA
Non ho ricordo alcuno della location. Allora andavo al Folkstudio, in un locale in Via dei Volsci, all’Auditorium Don Gnocchi, in cima a Via Trionfale, a diverse feste di piazza. Ricordo che fuori faceva freddo ed avevo fretta, perché avevo paura che a casa scoprissero che me l’ero filata dalla porta al piano superiore di casa nostra e che io non riuscissi a prendere il 46 notturno per essere nel letto ad un’ora decente per poter poi affrontare il giorno dopo. Ero solo, come lo sono stato sempre, quando accadevano le cose più importanti della mia vita. Ero solo, perché non avevo nessuno a cui chiedere di venire con me. Ero solo, perché temevo che le cose che ascoltavo io non piacessero a nessuno, se non a me. Ed invece era pieno zeppo di ragazzi grandi, che fumavano, sorridevano (io non sorridevo mai, me ne vergognavo), tenevano indolenti le mani sulle spalle di ragazze incredibili, ed io avevo con me i soldi giusti per almeno due gazzose.
Mi misi a sedere per terra e pensai alle piccole grandi cose a cui si pensa a 15 anni e si sta facendo qualcosa di meraviglioso, di proibito, di indicibile. D’improvviso, i ragazzi che stavano proprio accanto al posto in cui mi ero seduto, salirono sul palco e cominciarono a suonare le campane delle mucche ed cantare in coro qualcosa in un dialetto vicino al romanesco, ma incomprensibile, come i musici che, da bambino, venivano da chissà dove e suonavano la sera ai bivacchi vicino ai cantieri in cui papà e nonno lavoravano, con la cornamusa che per me, ancora oggi, è il suono del perdono, di Settimio che ride, di Mastro Tullio che mi fa delle boccacce (forse sorrideva soltanto) di papà che mi riporta a casa, del mondo di nonno Sesto Il mondo del mitico Ziononno, un mondo tanto raccontato e poco visto, fantasia aliena, stupenda e segreta.
Mentre pensavo che questi ragazzi suonavano proprio come quella gente che papà non voleva che avvicinassi, mi sono accorto che, dietro quelle melodie, c’erano i suoni che avevo imparato ad amare dalla PFM, che per me, in quel momento, era l’unica band seria al mondo. Tutti erano allegri, la musica commovente, e mi dicevo: un giorno avrò una ragazza che capirà tutto questo. Mi sbagliavo, ma allora ero pieno di speranza, lo cantava anche Johnny Dorelli, e poi mi bastava guardare quei ragazzi pieni di allegria e vedere il pubblico che batteva le mani ed i piedi, e sorridevano tutti, sorridevano talmente tutti, che sono certo di aver sorriso anch’io, in segreto.
Il loro secondo album, ve lo dico io, è il migliore, compratelo… Poi il concerto volse alla fine, e stavo per essere travolto dalla delusione, quando il cantante, Piero Brega, tornò sul palco e cantò, da solo, “Su Comunisti della Capitale”. Ero a meno di un metro da lui, vedevo la sua saliva scavalcare il microfono ed arrivarmi quasi addosso. Lo guardavo e piangevo dentro di me: Non sarei mai stato come lui, non avrei mai suonato come lui, non avrebbe mai avuto un sorriso solo per me, ed io per lui. Erano troppo bravi e troppo vicini, potevo toccarlo, potevo credere che fosse fatto della stessa sostanza inutile di cui era fatto un ragazzino come me.
Persi l’autobus. Non so come abbia fatto a tornare a casa. Ho dimenticato tutto. Ma non ho dimenticato Piero Brega ed il Canzoniere del Lazio, sognando sempre che li avrei rivisti ed avrei avuto il coraggio di toccarli. Sicché accadde, quando erano ormai erano un’altra band, si chiamavano Carnascialia ed erano persino meglio della PFM: Pasquale Minieri, Demetrio Stratos, Mauro Pagani, Piero Brega, Carlo Siliotto, Walter Calloni, Danilo Rea. Bravissimi, un concerto stupendo. Ma per me nessuno ha mai uguagliato quel primo, unico concerto del Canzoniere, quando ho scoperto quella musica stravolgente da vicino, vicinissimo, da dentro, da solo, forse in un sorriso.
Poi la vita è tempesta, viaggi, sabbia del deserto, strade aliene, eventi fondamentali, come la nascita di mia figlia, ed ancora traslochi, musate tremende, successi inattesi, e tempo senza fine, addomesticato solo parzialmente dalla musica che si ama ed in cui si confluisce. Finché un giorno, non so dirvi nemmeno come, ho incontrato Piero Brega ed Oretta Orengo, “di pirsona pirsonalmente”, come direbbe Catarella. Credo che fosse all’Eliseo, e suonasse Lanciaspezzata. Ho dato loro la mano, ho evitato di comportarmi come un 15enne, e poi sono tornato a casa, affogando in un sorriso. Una cosa che non potevo raccontare a nessuno, nessuno avrebbe capito.
Ora sono passati altri mille anni. Sono orgoglioso di poter dire che io, Pietro ed Oretta siamo amici. Quando li incontro, ci abbracciamo come fratelli. Insieme siamo stati sul palco a cantare Johnny Dorelli. Tre scemi, tre 15enni. Ebbene, signore e signori, benvenuti nell’amore. Quello vero, che nella musica confluisce, e ne rinasce come cristallo, senza possesso, con un pudore nuovo. Oggi Piero canta “Marinaio Senza Mare”, una canzone dolorosa per quanto è bella, che bisognerebbe studiarla a scuola, per preparare i ragazzini all’adolescenza eterna che diviene, ad un certo punto, maturità, e per come riassume una, due, dieci, mille vite. Eravamo belli, bellissimi, e lo saremo per sempre.
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