Musica

La musica bisestile. Giorno 39. Yes

24 Settembre 2018

YESSONGS

 

Continua a restare un miracolo incomprensibile, per me, come dalla musica beat, suonata a volte da evidenti scalzacani di periferia, siano uscite fuori delle band di prog così complesse, elaborate, fantasiose ed entusiasmanti. Questo vale anche per gli Yes, che nel 1968 erano una cover band di successi dei Beatles, dei Traffic, di Manfred Mann e degli Easybeats, ed un anno dopo registravano un disco (chiamato solo Yes), con dei brani dei Beatles riarrangiati a metà tra la musica classica ed il beat elettronico, con una produzione scadente, certi di non andare da nessuna parte. Mah. Solo un anno dopo, con Time and a Word, si vede che avessero scoperto i Pink Floyd. Mah e poi boh.

“Yessongs”, 1973

Poi l’inesplicabile miracolo. Nel 1971, con “The Yes Album”, tirano fuori un nuovo stile, che da allora in poi resterà tutto loro, mischiato dalla musica classica moderna (come Stravinskij, ma anche come i Nice di Keith Emerson), il rock post-celtico dei Led Zeppelin, il pop dei Beatles ed il rock dei Deep Purple.  Un album che, come i primi dischi dei Genesis, è pieno di strafalcioni, registrato male (in parte in presa diretta), ma con costruzioni davvero complesse, tenute insieme dai cori (complessi, perché è difficile cantare la terza o la quinta sopra la voce di Jon Anderson, che è un soprano, è maledettamente difficile).  Quell’album mostra anche un chitarrista, Steve Howe, che da subito diventa l’alternativa a Jimmy Page, Eric Clapton, Jeff Beck e Ritchie Blackmore.

Nel giro di 15 mesi la band va in tour per il Regno Unito, ci resta per mesi e mesi, e registra ancora due album straordinari, “Fragile” e “Close to the Edge”, che impongono la band come una delle più famose al mondo. Nel 1973, quindi, ad un anno dal fantasmagorico “Made in Japan” dei Deep Purple, gli Yes pubblicano questo “Yessongs” – un disco triplo, incredibile, parossistico, pieno di cose che non si erano mai sentite prima, dominato dalla voce quasi femminea di Jon Anderson, ma poi dalla rutilante bravura solista di Steve Howe, del tastierista Rick Wakeman, di Bill Bruford e Chris Squire. Un album che non solo riassume quanto fatto nei tre anni precedenti, ma lo modifica, perché adesso le esecuzioni sono piene di virtuosismi e, in generale, impeccabili, ed ogni brano è stato smontato e ricostruito con la pratica dal vivo, e dà il meglio di sé.

A mio parere, dopo questo album, erano morti. Non hanno mai più fatto cose davvero entusiasmanti, ed in ogni caso ognuno di quei fantastici musicisti iniziò una carriera solista che li impegnò quasi completamente. Si incontrano ancora quasi quasi soltanto per litigare. Ma” Yessongs” rimane un capolavoro assoluto ed inarrivabile, registrato purtroppo con dei mezzi tecnici già allora superati, ma bellissimo, immanente, unico. Se si ama la musica, non importa quale, bisogna conoscerlo.

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