Musica
La musica bisestile. Giorno 35. The Bear Quartet
Dal paesino in cui vivono loro non è mai venuto nulla. Nulla di cui il mondo si sia mai accorto. Ma loro proseguono, con ostinazione, e suonano un folkrock artico che non ha uguali al mondo
PERSONALITY CRISIS
Ho conosciuto Mattias Alkberg per caso. Faceva l’autostop attraverso l’Europa e si era fermato, come me, a vedere l’immenso e stupendo dipinto di Werner Tübke al Museo Panorama di Bad Frankenhausen (un dipinto circolare di più di 120 metri per 14, immenso e meraviglioso, che riproduce lo scontro finale della Guerra dei Contadini, che ha avuto luogo nel 1525, sulla collina antistante il museo attuale, e che credo che sia una delle 12 meraviglie del mondo moderno), e dopo esser stato travolto da quelle immagini, come tutti, era nel prato e suonava melancoliche ballate in lappone.
Una parola qua, una là, tutto in un inglese rudimentale, poi finalmente qualche cosa di comprensibile, ed alla fine mi regalò un CD della sua band, The Bear Quartet, che io ho insistito a pagare – ed ho fatto bene. Da allora (estate 1998) questo è il disco che ho ascoltato più spesso, che ascolto ancora, che mi commuove, mi rallegra, che rappresenta la primavera, l’adolescenza, che mi racconta di vite lontanissime, come fossi su Marte. Si tratta di un album di una musica definibile come folk svedese, ma che non assomiglia a null’altro che conosciamo, eppure ci sembra familiare, e fa pensare ad un fuoco acceso in un inverno interminabile.
La musica di un gruppetto di ragazzi di un paesino al limite del circolo polare artico, Luleå, dove non arriva quasi nulla, e da cui non era mai venuto nessuno. Una cittadina di 76000 abitanti che vive in sé stessa, nei propri laghi, le pianure coperte di neve quasi eterna, degli alci, di un silenzio primordiale. Una cittadina in cui un gruppetto di ragazzi, che stanno insieme fin dalla prima elementare, ha negli anni scritto quasi mille canzoni, cambiando mille volte genere, ma raccontando sempre la stessa cosa: la vita nella morsa del gelo, la vita al di là della nostra società, la vita in una società di persone che vivono strette strette per non morire, perché ciò che li aspetta fuori della porta di casa è per sempre un nemico: l’inverno diuturno ed icastico della Lapponia.
Eppure questo disco è pieno di calore di caminetto: “Mom and Dad” e “Human Enough” sono due capolavori. Li sto ascoltando ed ho le lacrime agli occhi, per la bellezza e per i ricordi… Profumano d’autunno, erano la colonna sonora di uno dei periodi più belli della mia vita. Questa è la musica con cui sono diventato adulto, la musica dell’amore con Kerstin, la musica della grande speranza e della tremenda delusione, ma anche della rinascita, e della decisone, dopo un quarto di secolo, di tornare a Roma, che peste mi colga. La band non ha mai avuto successo, eppure suonano ancora insieme, vent’anni dopo. Perché “la vita è una sola, non ha senso spezzarla, è meglio fare insieme le cose che si sanno fare bene, e che ti fanno sempre sentire felice”. Parola di Mattias Alkberg. Anche lui, come me, ora è un nonno (la foto che ho trovato è di 15 anni fa). Un nonno lappone che va in tour di rado, ma 60 anni non glieli daresti mai e poi mai.
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