Musica

La musica bisestile. Giorno 334. Simple Minds

18 Febbraio 2019

Gli irlandesi non si integrano, nemmeno se vivono nella vicina Scozia, e possono dar vita ad una delle band politcamente impegnate più importanti degli anni 80

STREET FIGHTING YEARS

 

Alla fine degli anni 50 tanti irlandesi, costretti a lasciare casa per la miseria e la disoccupazione, finirono in America o nelle grandi città industriali del Regno Unito. Una delle caratteristiche di queste comunità è che, nonostante ufficialmente si parli la stessa lingua, gli irlandesi sono chiusi a riccio, si integrano malvolentieri, difendono il loro essere cattolici come vessillo della loro alienazione. Così è cresciuto Jim Kerr, che da ragazzino finisce spesso nei guai come leader di una gang di ragazzini irlandesi che impazza per le periferie di Glasgow. Niente di violento, nulla di paragonabile ai disastri dei nostri tempi attuali, ma furti di cibo, sfide per dimostrare il coraggio tirando pietre alle finestre delle stazioni di polizia, tutta roba così.

“Street fighting years”, 1989

Per fortuna, lui ed i suoi amici avevano imparato a suonare e suonavano tutti la stessa musica: quella di David Bowie e quella dei primi Roxy Music. Quando decidono di dare un nome alla loro band di ginnasiasti, scelgono Simple Minds, una citazione da “The Jean genie” di Bowie. Una volta finito il liceo, la band inizia a scrivere canzoni proprie e trova subito un contratto, proprio perché il sound di quegli irlandesi di Scozia assomiglia tantissimo ai Roxy Music. La scoperta dell’elettronica diventa una necessità, perché i ragazzi lavorano, e non sono sempre liberi, la sera, per andare a suonare nei club, sicché le tastiere spesso sostituiscono il basso, o la batteria, o le tastiere.

Nel 1984 la svolta: Jim Kerr sposa Chrissie Hynde, la leader dei Pretenders, ed il loro singolo “Waterfront” arriva al numero 1 in quasi tutta Europa. A partire da quel momento i Simple Minds diventano una band professionale, ed il loro successo è talmente grande da portarli, già con il disco successivo, a suonare negli stadi. La critica li considera una versione edulcorata degli U2, ma è un paragone che non ha senso, semplicemente si tratta delle due band al mondo che danno la direzione della musica new wave. A questo si aggiunge il fatto che Bono e Jim Kerr sono molto amici, cantano spesso nei cori della band dell’amico in apparizioni pubbliche, e si battono per campagne politiche comuni, prima fra tutti la fine dell’apartheid e la liberazione di Nelson Mandela.

Dopo il travolgente successo di “City of lights” e del singolo “Don’t you forget about me” i Simple Minds diventano una delle tre band più famose del mondo. A questo punto Jim Kerr decide di scrivere un album esclusivamente politico, ed è quello che vi ho menzionato in questa scheda. Gli “Anni delle battaglie di strada” si aprono con una canzone malinconica dedicata a Victor Jara, il cantautore cileno torturato ed ucciso dal regime di Pinochet, e contiene “Belfast child”, una ballata sull’indipendenza irlandese costruita su una canzone tradizionale che vi ho già presentato nella scheda su Alan Stivell (scheda 306). Ma contiene anche la canzone di Peter Gabriel su Stephen Biko e la famosa ballata “Mandela day”, che i Simple Minds avevano suonato per la prima volta a Live Aid, il grande concerto contro l’apartheid organizzato da Bob Geldof dei Boomtwon Rats.

Jim Kerr, hooligan dei Celtic Glasgow, scopre la Sicilia, inizia a fare il vino, fonda il Celtic Taormina (cui gioca anche lui, nelle serie dilettantistiche), lascia Chrissie Hynde per Patsy Kensit, comincia un periodo di introversione, ha sempre meno voglia di cantare in pubblico. Quando, nel 1991, Patsy se ne va per Liam Gallagher degli Oasis, Jim Kerr si ritira a Taormina e sostiene che, per lui, gli anni della band sono finiti. Da allora sono passati quasi vent’anni, Jim ha cambiato idea più volte, ma oramai gli anni dei Simple Minds sono finiti. Ma la loro importanza storica non è per questo diminuita.

 

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