Musica

La musica bisestile. Giorno 325. Fink

14 Febbraio 2019

Nils era un amico, un artista a tutto tondo, un uomo che amava la famiglia. Un ragazzo solido, che era riuscito a guadagnarsi da vivere senza mai scendere a patti, e che ci ha lasciato con un vuoto tremendo nel cuore

MONDSCHEINER

 

La prima volta ho incontrato Nils Koppruch al Pudel Bar in Hamburg. Bighellonava tra l’elegante bar al primo piano, dove Patex ed altre ragazze servivano torte e minestre, ed il debosciante club sottostante, dove aspettavamo una band, che come al solito avrebbe suonato troppo tardi, troppo brevemente e troppo male. Si ciondolava e si beveva Afri Cola insieme a Knarf, che allora era ancora il ragazzo di Patex, e si raccontavano aneddoti su questa o quella comune conoscenza. O magari era una di quelle serate in cui c’era Smul Meier, che veniva dalla Baviera, ed è completamente matto: un sussiegoso travet mischiato con un bohemienne piccolo borghese, il cui sogno era andare ogni estate ad Ibiza a suonare le cover in spiaggia, e nell’inverno faceva il finto musicista ed il postino.

“Mondscheiner”, 1999

Nils mi raccontava della sua band, Fink, e del concetto che c’era dietro le sue canzoni, e litigava con Knarf. Knarf (che avrà una sua scheda in questa raccolta) sosteneva che bisognasse spezzare la struttura della canzone borghese con la lapidarietà, la recursività (monotonia?) e l’atteggiamento dei musicisti. Nils diceva che andava espresso un discorso nei testi, e che fosse necessario restituire sorpresa all’uso di strumenti che, nella tradizione dei cantautori tedeschi (chitarre da spiaggia e tastiere da chiesa) non venissero più usati. Su questo ultimo punto si ritrovavano, quando Nils faceva rimbombare nel locale la sua versione di “Autobahn” dei Kraftwerk, suonata con il banjo: scurrile, giusta, sensazionale.

Rifacendo a piedi la grande scalinata che dal Pudel riporta a St. Pauli, ed era oramai l’alba, Nils raccontava delle paure: “Fino ad oggi ho venduto male, ma ho vissuto, dei miei quadri e del lavoro di mia moglie. Ora ho un buon contratto per la band, ma se lo accetto devo puntare tutto su una carta, ed è una carta che, a lungo termine, perde sempre. Potrei rinunciare e pensare per tutta la vita che ho perso il grande treno, o tentare, e perdere tutto”. Gli esponevo la mia teoria: ogni volta che c’è un treno lo prendi, perché il mondo è una stazione, e quando ne avrai bisogno ci sarà un altro treno, magari diverso, magari brutto e triste, ma ci sarà un treno. Lui disse: “Non sono disposto a perdere mio figlio e mia moglie per un treno. Non sono disposto a perdere il treno”.

Katrin Busch, la compagna di Nils

Alla fine Hamburg decise per lui. Michael Müller, una persona per bene, magari un po’ introversa, ma un musicista fenomenale, che aveva appena litigato con quelli di Blumfeld (scheda 18), mise insieme la band per Nils, e condusse le trattative per la registrazione dei dischi e per i tour, di modo che Nils avesse tempo per la pittura e per la sua famiglia. Amavo sia i testi che le musiche dei Fink: una miscela di Mississippi e Reno, con testi che raccontano scene, quadri, immagini, e non storie: “Lui la osserva mentre lei lo guarda intensamente e lui guarda alla porta di casa” è la mia canzone preferita. Racconta della crisi di un amore che si consuma in silenzio, con gli sguardi ed una lentezza insopportabile, e in ogni strofa “oggi è un nuovo giorno”, con lo stesso finale di ieri. Lo andai a sentire, un anno più tardi, a “El Internacional” di Zurigo. Pieno zeppo. Lui era contento e trafelato, il nuovo disco aveva finalmente la band che lui sognava: banjo, contrabbasso, piano, chitarra ritmica.

La musica che la casa discografica suona per i testi di Mannarino, con la differenza che, la musica di Fink, la scrivono i musicisti di Fink, e non qualche computer in un ufficio, che poi stampa gli spartiti per dei turnisti annoiati. Nils, sul palco, è spiritoso, oppure sprofonda nel silenzio e fa delle cose, tipo togliersi lo sgabello da sotto e restare seduto nell’aria, per poi dire: “L’essere umano è talmente abitudinario da non riuscire più nemmeno a cadere”. Un’iperbole dopo l’altra, l’espressione del volto che vorrebbe essere impenetrabile, ed invece è sempre allegra, come quella di un bimbo al parco giochi. Nils aveva vinto la scommessa: non ha avuto successo come i Rolling Stones, ma ha avuto la sua band professionale, ha continuato a dipingere, sua moglie ha continuato a fare l’avvocato ed amarlo, suo figlio è cresciuto ed è diventato un buono a nulla qualunque.

Finché, una mattina, Nils non si è svegliato. Miocardite, un’infezione che si estende senza che te ne accorgi, senza sintomi. Aveva 47 anni. L’ho saputo troppo tardi per poter prendere un aereo. Ma stanotte, scegliendo le canzoni per voi, e scrivendo questo testo, è stata dura. Eravamo un gruppo di ragazzi con talenti diversi ed una sensibilità comune, un anelito irrefrenabile, una certezza del destino, e veniamo sterminati dalla vita, perché, come cantava Guccini, noi ancora giovani siamo invecchiati, alla faccia di chi giovane non è stato mai.

 

 

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