Musica
La musica bisestile. Giorno 315. Charles Aznavour
Il più grande cantautore della storia francese, a due anni dalla sua scomparsa, nella celebrazione di un amore cantato per 70 anni in tutte le lingue del mondo
DEDICATO ALL’AMORE
Suo papà e sua mamma erano miracolosamente sopravvissuti al genocidio armeno. Lei era figlia di commercianti benestanti che vivevano a Izmir (Smirne), e quindi era lontana dai massacri. Lui, invece, era il figlio del cuoco del governatore, e quindi si salvò avventurosamente, lasciando dietro di sé una famiglia sterminata. Si erano rifatti una vita a Parigi, come molti, ed avevano europeizzato il loro cognome, cercando di divenire più parigini di tutti, sicché Charles, già alle elementari, frequentava opera e teatro, ed a nove anni esordiva con una particina, davanti agli orgogliosi genitori.
Aveva une bella voce, ed in teatro aveva imparato a gestire l’incedere ed il cantare come una rappresentazione, come una piccola piéce, di modo che, ben presto, iniziò a fare ciò semiprofessionalmente, nelle sere del fine settimana, dopo la scuola. Soldi per l’Università non ce ne erano, ed a 19 anni iniziò a lavorare in teatro anche come factotum. Finché non avviene il miracolo. Lui è lì che passa lo straccio sul palcoscenico e canta, Edith Piaf entra per caso, rimane fulminata, e lo porta con sé in tour. Charles ha 22 anni, la sua fortuna è fatta. Da quel momento partono 70 anni di ininterrotta carriera da cantautore – un cantautore che scrive e canta in francese, italiano, napoletano, inglese, spagnolo, tedesco e russo.
Un cantautore che parla d’amore, che cresce prima degli anni delle controversie politiche e che considera l’immischiarsi in quel mondo una coda da evitare con spavento e disgusto. In amore ha due storie brevi ed intense, poi suo cugino, l’attore americano Mike Connors (famoso per una serie TV d’avventura degli anni 50, in cui impersona il protagonista Joe Mannix) gli presenta una sua amica, l’attrice svedese Ulla Thorsell, con cui è rimasto insieme per tutta la vita. Dopo aver conosciuto lei diventa anche fortunato attore cinematografico, e vince anche diversi premi, recitando in film importanti.
In Francia lo considerano, a ragione, il cantautore più importante del secolo, gli conferiscono la legion d’onore, e lo applaudono quando, nel 2008, viene naturalizzato armeno e diventa l’Ambasciatore Armeno a Berna. Non smettono di amarlo, perché lui rimane sé stesso, con quel suo modo teatrale e sornione (che tanto ha insegnato a Domenico Modugno), quella sua capacità di fare amicizia con tutti, una gentilezza connaturata, ma gli occhi ed i silenzi della persona che non si lascia maltrattare o prendere in giro. La gente ama il fatto che, fino a tarda età, ogni mattina sia uscito a piedi dalla sua casa (ha traslocato solo tre volte in 94 anni) per andare a fare la spesa, prendere il giornale e bere un caffè ai tavoli di qualche locale del Quartiere Latino. Lui, il più grande cantautore, insieme a Edith Piaf ed a Jacques Brel, della cultura francese. Nonostante questo, nella mia scheda commetto un delitto di lesa maestà, perché ho scelto la sua produzione italiana.
L’ho fatto perché è quella che ascolto in certe giornate di febbraio, con il cielo che ci cade sulla testa e le spalle gonfie di malinconia. L’ho fatto perché la mia generazione e quella prima di me lo hanno conosciuto ed amato così, senza voler nulla togliere alla sua importanza per la cultura francese. L’ho fatto perché me lo ricordo spiritoso, padrone della lingua, giocare con la grande generazione dei nostri cantanti ed attori che – come me – lo adorava. E quando il crescendo del suo “Istrione” sale, lo ringrazio per aver avuto il coraggio di andare a pescare quella parte di me, di cui spesso mi vergogno, e di portarla alla luce in una bellezza che supera i difetti e le debolezze del narcisismo, e diventa melodramma, ma con una tragica leggerezza – una delle più gran di canzoni che siano mai state scritte.
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