Musica

La musica bisestile. Giorno 312. Brian Hyland

7 Febbraio 2019

Il campione della bubblegum music con il disco più famoso in quei dieci anni in cui ha condizionato la musica e la cultura americana

SEALED WITH A KISS

 

Se avete amato “American Graffiti”, come ho fatto io, probabilmente avete ascoltato la canzone che dà il titolo a questo album, e che racconta delle lettere che lui manderà aa lei, ogni giorno, durante le ferie d’estate, sigillate con un bacio. La canzone è stata un grande successo nel 1963, dopo che, nel 1960, Brian era arrivato al numero uno con il “yellow polka dot bikini”. Insomma, Brian Hyland era l’epigono di quella che gli americani chiamavano bubblegum music, e che fu in auge dalla metà degli anni 50 fino all’esplosione del beat e della musica hippie.

“Sealed with a kiss”, 1962

Brian scriveva e cantava per la generazione di bianchi che, avendo i genitori con le tasche piene di dollari, avevano un’infanzia ed una gioventù da vitelloni, guidava macchine grandi come transatlantici a 16 anni, scopriva il sesso in modo segreto e piccolo borghese, si sbronzava di grosso. Brian Hyland era il cantore di una società delle piccole città, in cui il controllo sociale è totale. Nella cultura hippie entra per un’altra delle sue hit, “Ginny come lately”, che viene citata in “New kid in town” degli Eagles ed in diversi film famosi sulle piccole città conservatrici e bigotte – come quella raccontata in “American Graffiti”: città in cui la popolazione si divide tra quelli che, a 18 anni, se ne vanno per sempre e, dopo l’università, vengono risucchiati dalle grandi città, e da quelli che restano, gli sfigati, i Biff Tannen di “Back to the Future”.

Nel 1968 Hyland, come tutta la sua subcultura paesana, viene spazzato via. Arrivano i Beatles, i Rolling Stones, ma anche i Grateful Dead ed i Jefferson Airplane, e poi Bob Dylan e Joan Baez. La Guerra del Vietnam diventa lo spartiacque, in campagna esplode il country-rock. I dischi di Brian Hyland non li vuole più nessuno, nonostante lui faccia diversi tentativi per cambiare stile e pubblico. Con la moglie ed i figli si trasferisce a New Orleans, lavora un po’ come turnista per Alain Toussaint, finché, nel 1977, trova un’uscita laterale e diventa dapprima regista e dappoi produttore di film documentari, un lavoro con cui ha campato bene fino alla pensione, senza mai farsi illusioni, tutte le volte che, la musica bubblegum aveva un piccolo revival e lui veniva chiamato a cantare una volta ancora in televisione.

“Dustin Hoffman con “Il Laureato” ha ucciso il mio business. Io non ho la bravura di Paul Simon. Andai a vedere il film e capii che ero finito. Oggi, quando vedo i miei filmati in bianco e nero, mi sento ridicolo, quasi offensivo. Mi sento come i cattivi di “Animal House”, il soldato scemo di una guerra culturale persa in partenza”. Bontà sua. Ma per me un cantautore che, per quasi dieci anni, ha piazzato una canzone dopo l’altra nelle hit parade ed ha veramente contribuito a definire uno stile musicale, non è un perdente, ma una pietra miliare da non dimenticare.

https://www.youtube.com/watch?v=jcS8CJwHfqI

https://www.youtube.com/watch?v=sGb78NEGSog

 

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