Musica
La musica bisestile. Giorno 31. Eagles
Si sono odiati e combattuti, disprezzati e traditi, truffati e derisi per quasi tutta la vita. Quando li hanno premiati, alcuni di loro non sono stati invitati, erano considerati la band meno spttacolare del mondo, perché sul palco tacevano e sembravano sempre annoiati. Ma sono una delle band di maggior successo del secolo
HOTEL CALIFORNIA
Sapeva suonare pochissime canzoni, tra cui “Rain” degli Uriah Heep, che adoravo e credevo non conoscesse nessun altro al di fuori di me. Suonava “Tequila Sunrise” in un modo commovente, e poi suonavamo “Hotel California” in due, ripetendo i cori ed alcune delle variazioni di chitarra. Credevamo non so cosa. Eravamo sepolti in un paesino delle Marche, fuori dalle nostre vite, ed ogni sera eravamo lì, sul punto di farlo accadere e di stravolgere in un colpo le nostre esistenze e quelle delle persone cui eravamo legati, ed alla fine non accadde nulla, proprio perché avevamo paura delle conseguenze.
La tenevo per mano e le insegnavo a scendere i gradini senza guardare, fidandosi del proprio equilibrio. Aggrappati alle dita l’uno dell’altra, esploravamo borghi di cui fino a pochi momenti prima non sapevo nemmeno il nome. Parlavamo come un torrente in piena, per poi guardarci in viso e non dire più nulla, con lei che, seduta a gambe aperte, giocava con la gonna, di modo che andassi fuori di testa per il desiderio. Ma non è accaduto nulla. Ed al ritorno a casa, due settimane dopo, di quell’atmosfera non rimase nulla. Nulla. Solo imbarazzo ed un briciolo di rabbia irosa.
Stupidi e fifoni che eravamo, non avrebbe fatto nessun differenza, perché entrambi i castelli di carte crollarono nei 15 mesi successivi: lontanissimi ormai, chiudemmo i rispettivi matrimoni superflui. Solo che noi, nel frattempo, ci perdemmo, e so che lei mi disprezza ancora, perché le ho mentito. Le avevo detto che le avrei presentato un professore che le avrebbe cambiato la vita, non lo feci. Alla fine lo incontrò da sola ed andò a vivere a Padova, come era giusto, lasciandomi tutta Zurigo per orchestrare il mio divorzio incipiente e l’orrenda solitudine che ne seguì. E quelle canzoni, logicamente, non le ho più ascoltate, per anni, perché mi facevano ricordare lei che ballava sulla sedia e mi sorrideva guardando dietro le spalle – e la mia incapacità di compiere l’unico gesto risolutivo possibile.
Invece le scrissi una canzone, “Neanche un Riga di Me”, che suono ancora, e che resta una delle migliori che abbia mai scritto, perché riuniva le sue frasi, i suoi sogni, le sue difficoltà, la sua malinconia. E così, mentre io, con un ragazzo americano che studiava a Zurigo imparavo quell’album, per poi suonarlo per strada, lei scomparve. Quando, un secolo dopo, ho visto l’uomo che lei ha sposato, mi è venuto da ridere. Noi tutti siamo sempre la misura delle persone che abbiamo accanto. Ebbene, se quell’uomo è la sua misura, mi chiedo cosa mai io possa aver visto in lei, che sicuramente non c’era.
La maggior parte delle donne, quando vedi con chi si accompagnano, ti tolgono la fame per anni o per sempre. Pensi soltanto: io mi battevo per una che sta con quel cadavere ambulante. Meno male che è andata così. Quelle donne sono come “Hotel California”, una volta che sei arrivato da loro, non c’è più modo di andarsene, ti estinguono. Dunque, parlavamo degli Eagles, giusto? Otto canzoni, otto piccoli capolavori, per chi, come me, ha amato quel suono di chitarre e quei cori, che sono a metà strada tra il country rock dei Poco, degli America, degli Outlaws e dei Doobie Brothers, il southern rock dei Lynyrd Skynyrd, la West Coast Music di Crosby Stills Nash & Young ed il cajun dei Nitty Gritty Dirt Band. Joe Walsh, uno dei migliori chitarristi di sempre, era entrato in pianta stabile nella band, insieme a Don Henley, Glenn Frey, Randy Meisner e Don Felder.
Così la band era ripartita dalla meravigliosa “Tequila Sunrise” di Desperado ed aveva raggiunto una nuova perfezione, un punto in cui, per la somma dei suoni, piacevano a chiunque, anche se li si odiava – perché suonavano troppo lento, perché avevano orchestrazioni babbiose come i Bee Gees, perché sul palco sembravano una cerimonia funebre più che una rockband, perché la migliore canzone di Don Henley, scritta in quell’anno, venne considerata troppo rock e finì in un dimenticabile album solo del batterista di qualche anno dopo. Eppure erano i migliori di tutti, ed “Hotel California” fu l’apice – ed al contempo la fine – di una lunga estate, iniziata nel 1969 (come diceva Bryan Adams), che aveva portato vento in viso e profumi e lacrime di gioia, e che era stata soffocata nella plastica e nell’individualismo più becero, e che confluì nella solitudine, destino di tutta una generazione che si era beffata da sola.
https://www.youtube.com/watch?v=zAy49P8Tjuw
https://www.youtube.com/watch?v=gb1wYslTBk8
https://www.youtube.com/watch?v=4tcXblWojdM
Devi fare login per commentare
Accedi