Musica
La musica bisestile. Giorno 296. Arctic Monkeys
Nasce il post-punk britannico, che incrocia il beat e lo skiffle degli esordi con le lezioni imparate in 20 di rock elettronico
WHATEVER PEOPLE SAY I AM, THAT’S WHAT I AM NOT
Ho comprato questo disco perché l’avevano comprato tutti. Solo in Inghilterra 300mila copie in una settimana, per giunta per una band esordiente. Ma questa è stata la prima band costruita su internet, prima di arrivare alla pubblicazione di un album. Hanno iniziato a 16 anni, copiando Oasis, White Stripes e Strokes, e ben presto hanno trovato uno stile proprio, ed hanno convinto ex compagni di classe, concittadini (vengono da Sheffield) e simpatizzanti vari a spingere i video rudimentali pubblicati su youtube, e la cosa ha funzionato talmente bene che il contratto discografico lo hanno ottenuto con un milione di click, e senza nemmeno un vero concerto, se non poche gigs in piccoli pub.
Cerco di essere più preciso. Fecero un concerto a Boardwalk, il bar in cui lavorava il leader Alex Turner (come cameriere), e lo pubblicarono su youtube. Un produttore, Alan Smyth della Domino Records, lì chiamò dicendo che non sapeva distinguere tra le canzoni loro e le cover, visto che il suono era così chiaro e netto. Così fecero cinque serate di fila, con la casa discografica a registrare, ed alla fine avevano 17 brani, la maggior parte dei quali cover, mixati, risistemati, e poi messi su youtube sotto il nome di “Beneath the Boardwalk”, che verrà pubblicato come bootleg (non dalla baand) moilti anni più tardi.
A quel punto, però, gli Artici Monkeys esistevano, avevano un seguito, Alan Smyth procurò loro un booker, e loro iniziarono a suonare in giro per l’Inghilterra, mentre Alex e la Domino discutevano di come fare per lanciare il primo album. Alla fine si decise di mettere in internet solo pezzettini di pochi secondi, e di farli poi sparire nel momento in cui il disco fosse veramente uscito. Un successo davvero travolgente. 300mila copie il primo giorno, 800mila in una settimana, un milione in dieci giorni, polverizzando ogni record degli Oasis. A questo punto c’è da chiedersi perché questo sound un po’ confusionario, baraondico senza essere metallaro, abbia ottenuto una reazione simile.
L’intero movimento post-punk, per me, è difficile da capire. Alla fin fine c’è pochissima differenza tra i Muse, queste band come gli Arctic Monkeys, gli stoner dei Queens of the Stone Age, tutte band in cui la melodia è fatta di chitarre e bassi all’unisono, tanto fracasso, voci piuttosto esili, insomma il contrario dei grandi del rock come Jimi Hendrix. Non ho una risposta: le cose sono come sono, evidentemente questo stile colpisce il nervo scoperto delle nuove generazioni, ed il costante miglioramento tecnico che si percepisce nella band, disco dopo disco, continua a ripeterci che esiste solo un mondo del rock, e tante divisioni di genere tra persone che stanno imparando ed ancora non hanno davvero imparato a suonarlo. Tra tutti costoro, certamente, gli Arctic Monkeys sono tra i più tecnici ed i più smaliziati.
Devi fare login per commentare
Accedi