Musica

La musica bisestile. Giorno 29. The Pretty Things

19 Settembre 2018

Nasce il “concept album”, ovvero il disco che racconta un’unica storia attraverso le sue canzoni, e nasce da una band che sembrava oramai condannata a sparire, con dei collaboratori famosi

SF SORROW

 

Sono i particolari a cambiare le vite. Dick Taylor andava a scuola con Keith Richards, Mick Jagger e Brian Jones, e fu il primo bassista dei Rolling Stones. Ma voleva suonare la chitarra, e di fare la terza chitarra non aveva voglia, così lasciò la band e formò il nucleo dei Pretty Things. Una delle tante beat-bands di allora, con alcuni successi come Rosalyn, che venne poi registrata da David Bowie, e tanta, tanta gavetta, ma con ben altre ambizioni.

“S.F. Sorrow”, 1968

TOMMY

Dick ed i suoi amici volevano avere quella cosa che non aveva mai avuto nessuno, e si misero a lavorare a dei testi da inserire tra una canzone e l’altra, che trasformassero l’album in un romanzo. Avevano iniziato a lavorarci su fin dal 1967, registrando le singole canzoni ancora ed ancora, ma non erano mai soddisfatti. Registravano negli Abbey Roads Studios, mentre nelle altre sale i Pink Floyd creavano A Saucerful of Secrets, i Beatles The White Album ed i Kinks le prime canzoni di Village Green Preservation Society.

“Tommy”, 1968

THE CRAZY WORLD OF ARTHUR BROWN

Dopo un anno di lavoro, Dick e gli altri avevano finito, e l’album uscì: il primo concept album della storia del rock, ovvero il primo album che raccontasse una storia per intero, canzone dopo canzone. Dal vivo, i testi, di questa storia, estremamente cupa e deprimente, venivano interpretati da Arthur Brown, che aveva appena iniziato a girare con i suoi Crazy World con una canzone esplosiva, “Fire!”, che resta una delle hit assolute degli ultimi 100 anni. Ma proprio mentre i Pretty Things iniziavano a girare, The Who tirò fuori “Tommy”, ed oscurò tutto il resto, divenendo in pochissime settimane uno dei dischi più celebrati della storia del rock.

“The crazy world of Arthur Brown”, 1968

Così Dick, il non Rolling Stones ed il non The Who, non ebbe mai veramente fortuna, e fece altro. Il bancario, il venditore di auto, l’assicuratore. Ma quei tre dischi, che raccontano di una sola storia, sono rimasti. Fanno la storia di un rock che, oramai diventato adulto, costruisce storia e narrazione esso stesso. Sono il segno di un modo di suonare il rock che non è mai stato dimenticato e che ha ancora oggi i suoi epigoni, specie grazie ai Blur di Graham Cox e Damon Albarn, The Pretty Things rimangono un punto di riferimento, un punto di partenza, uno stilema che tutti riconoscono ed ancora copiano, magari senza esserne coscienti.

Arthur Brown nel 1968, ai tempi della collaborazione con The Pretty Things

Per me restano nei ricordi da bambino. Non ci crederete mai, ma “Fire” me lo regalò papà, senza il quale la mia cultura musicale sarebbe nulla. Papà, che da giovane aveva un cuore ed un’immaginazione immensi, un’apertura mentale pari a nessuno, ed una voglia di conciliare i due mondi, quello da cui veniva e quello verso il quale andava. Rimase a metà del guado, tirato da tutte le parti da una famiglia estremamente tradizionale, le insicurezze di un uomo che si è fatto da solo ed è un’isola nella sua generazione, un uomo poi amareggiato per non aver avuto fino in fondo il coraggio di fare il grande salto. Forse ci sono riuscito io, perlui. Forse no. Ma anche nella musica mi rendo conto quanto sia profondo il legame che ci unisce, anche se la pensiamo in modo differente su tutto il resto.

 

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