Musica
La musica bisestile. Giorno 28. The Grateful Dead
Una band che è permanentemente in tour da 50 anni registra i suoi album in poche ore nelle poche ore tra un concerto e l’altro – canzoni scritte sul bus, e magari suonate un paio di volte sul palco per trovare un equilibrio ed un arrangiamento. Finché la band decide di fermarsi per due settimane e registrare qualcosa che resti per sempre…
WORKINGMAN’S DEAD
Leslie andò ad un concerto dei Grateful Dead con colui che sperava di diventare il suo fidanzato, ma Leslie voleva solo sole e vento sul viso, fumo e brivido nelle vene, e dopo la prima ora di ballate, assoli, storie e tappeti volanti, si ritrovò sul pullman della band, e magari anche nel letto di qualcuno di loro. Non ricorda, non era importante, era tutto bello e semplice. Il pullman viaggiava per il mondo, ogni giorno si andava in colonna con altre quattro corriere piene di musici e aruspici, cisposi tifosi, donne leggiadre e hippie a manetta. Tanta tanta marijuana, non finiva mai. Cucinavano spesso, durante le pause in prati sconosciuti, tanta gente a veder passare quel circo, e la notte si ballava, cullati da Jerry Garcia ed i suoi Grateful Dead.
Quasi ogni sera la band suonava una canzone nuova, scritta durante il viaggio. Quasi ogni sera Leslie conosceva un altro ragazzo, una nuova poesia, un nuovo libro, una nuova dolce follia. Venne l’inverno, e la band ora suonava in sale chiuse, e fuori si viveva in tepeees con gli indiani, si giocava con gli slittini, si raccoglieva la legna che gli uomini facevano a pezzi con le scuri, e la notte ci si stringeva in tanti, e si riportavano dentro coloro che, per vino o per fumo, erano caduti nella neve e sarebbero morti nel buio: sicché niente, il circo è felicità, qui non muore nessuno, ci si aiuta, Leslie ora aveva un amante lungo e profumato, di pelle nera, che aveva legato dei campanellini ai ricci, ed era capace di tirare su chiunque cadesse. Un colosso buono.
Lui scomparve in primavera, doveva andare a lavorare nessuno sa dove, sorrise via dopo una curva, Leslie non ricorda nemmeno come si chiamasse, ma le è mancato tanto, per tanto tempo… l’estate la colse di sorpresa, stanca e triste, finché una mattina non riuscì a svegliarsi, ed i pullman partirono senza di lei. Dormì alcuni giorni ed alcune notti di fila, le dissero poi, e nessuno ebbe il coraggio di svegliarla, perché nessuno parlava la sua lingua. Era in Nicaragua. Senza soldi, senza scarpe, senza documenti, senza parlare una sola parola di spagnolo. Rimase lì qualche giorno, poi venne la Polizia e Leslie iniziò il suo triste ritorno a casa. Era stata fuori due anni, non riuscì mai più a rientrare nella famiglia e nel paesino da cui era andata via.
Raccontava tutto ciò, piena di malinconia, nella notte cosparsa di stelle della Maremma, noi tutti rapiti, in silenzio, perché Leslie aveva fatto ciò che noi sognavamo, e non avremmo fatto mai. Due tour con i Grateful Dead, la più grande band hippie del mondo, il più folle circo della storia prima del Burning Man (il cui fondatore è purtroppo morto a 70 anni, qualche mese fa). Leslie raccontava e mandava giù, uno dopo l’altro, degli zuccherini che il ristorante aveva messo sul tavolo, in una boccia uscita miracolosamente dal frigorifero. Gliene chiesi uno. Fu come se mi avessero sparato in bocca. Alcool denaturato versato nello zucchero e poi congelato. Lo metti in bocca e digerisci ciò che hai appena mangiato oggi, ieri e la settimana passata, ciò che hai vissuto, ciò che hanno combinato i tuoi avi per tre generazioni, e poi tiravi le cuoia.
Ne prendevi uno ed eri completamente ubriaco. Leslie ne aveva mandati giù una ventina come se fossero bruscolini. Doug, il marito di oggi, rise: “Dopo un tour con i Grateful Dead, l’alcool non fa più nessun effetto, non lo sapevate?” No. Non lo sapevamo. Non l’avremmo saputo mai. Per noi i Grateful Dead rimangono come la vettura di Lucignolo, il carrozzone che porta i futuri asinelli al Paese dei Balocchi. Dove siamo noi, quel carrozzone non passerà mai. Quando sentiamo i mille dischi dal vivo dei Grateful Dead è difficile capire perché la gente li ami tanto, perché la qualità è spesso annacquata dalla cattiva qualità delle registrazioni, o magari dell’esecuzione. Ma non importa a nessuno, perché i Grateful Dead sono anche musica, ma soprattutto sogno, vita alternativa, docle follia.
Eppure, in questo “Il lavoratore è morto” ci sono alcune delle più belle canzoni di quando Jerry Garcia, il chitarrista senza un dito, era ancora vivo, e suonava come quasi nessuno sapeva fare. Quasi nessuno saprà mai. Per questo tenetevi stretto quel disco e commuovetevi, come faccio io, ascoltando “Me and my Uncle”, io e mio zio, che truccavamo le carte a poker ed “eravamo onesti, quanto una persona per bene possa permettersi di esserlo”, e per questo venivano regolarmente presi a fucilate ed eravamo costretti a scappare, di notte, in sella ad un cavallo di chissà chi. Perché se il lavoratore è morto, l’essere umano, l’hippie, il baro, la persona per bene, in qualche modo dovrà pur vivere, fumare, fare l’amore e sognare.
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