Musica
La musica bisestile. Giorno 278. Caravan
Quando nascono i Genesis, la scuola di Canterbury ha già il suo capolavoro, il disco da cui tutti, compresi Peter Gabriel e soci, hanno iniziato: questo
IN THE LAND OF GREY AND PINK
A volte il pubblico sbaglia. Questo disco fu un flop quando uscì, nella primavera del 1971, e nonostante la critica continui a considerarlo uno dei più grandi capolavori della storia del rock, diversi tentativi di nuova pubblicazione, anche supportati da un notevole sforzo pubblicitario, finirono con un buco nell’acqua. Eppure, se lo ascoltate, sentite immediatamente da dove abbiano preso i Genesis (che già esistevano) e che quella dei Caravan fosse una direzione alternativa a quella di Peter Gabriel e soci, meno spettacolare sul palco ma certamente non meno spettacolare dal punto di vista melodico e della complessità.
Prima differenza: i Caravan, anche se contemporanei, appartengono agli nni 60, i Genesis già alla generazione successiva. In questo disco ascoltate veri fiati, non riproduzioni elettroniche, e sentite voci ed atmosfere tipiche del rock britannico, simile a quelle dei Traffic e dei King Crimson. Seconda differenza: le tastiere non hanno un ruolo preponderante, come è sempre accaduto nei Genesis, ma sono uno degli strumenti che sostiene gli archi o i fiati. Nulla di arcaico, per carità, si sente Fin dalla prima nota che si tratta di musica di avanguardia, ma di un’avanguardia non legata al jazz o alle complessità dodecafonali – un’avanguardia ben fissata nella tradizione, di cui evoca la provenienza.
Terza differenza: la voce. Meravigliosa, quella di Richard Sinclair, solista in “Winter wine”, ma legata anch’essa più ai Jethro Tull, o ai Fairport Convention, che ai Genesis. Insomma, le due band si assomigliano, ma solo in parte. I Caravan erano gli epigoni della cosiddetta Scuola di Canterbury, i Geneis ne furono i traditori. A Canterbvury si erano raccolti i grandi degli anni 60 che non sopportavano Londra: Daevid Allen dei Gong, Peter Hammill dei Van Der Graaf, Hugh Hopper e Mike Ratledge dei Soft Machine, e su tutti Kevin Ayers. Musicisti che avevano provato a portare il jazz nel rock, che erano matti da legare, che non avevano simpatia per il beat e per il pop, che non cercavano il successo commerciale, che avevano costruito una comunità dai toni e dai colori più belli dell’iconografia romantica di fine Medioevo.
Per me si tratta di note stupende che riempivano i miei pomeriggi di solitudine, pomeriggi passati a pensare al futuro, ad un mondo immenso, lontano dalla mia stanza, a tutto ciò che un giorno avrei finalmente visto, alla promessa di un viaggio malinconico, autunnale, infinito e di continua crescita – come poi è stato. Per questo motivo, questo è uno dei tre dischi che porterei con me sull’isola, perché affettivamente, comprende tutte le mie età, tutti miei sogni e le delusioni, tutte le rivincite, tutto il sapore della vita. Se ancora non vi siete innamorati mai di un disco, provateci, vi regalerà delle emozioni che, oggi, nessuno più sarebbe in grado di offrirvi.
https://www.youtube.com/watch?v=2hsp-C6mQGo
https://www.youtube.com/watch?v=arDLgz3KHYA
https://www.youtube.com/watch?v=pqW49ETl6oI
https://www.youtube.com/watch?v=9hmFzGTxod4
https://www.youtube.com/watch?v=O1cAZbw_gbY
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