Musica

La musica bisestile. Giorno 259. The Black Keys

12 Gennaio 2019

Oggi si può arrivare al punk partendo non da due chitarre sconocchiate in un garage, ma da un paziente sampling di ingegneri elettronici, fatto da due nerd con delle faccie disperate: la musica all’incontrario, insomma

TURN BLUE

 

Akron (Ohio) è una città di 200mila abitanti a pochi chilometri a sud di Cleveland, non lontano da Detroit. Una città denominata capitale mondiale della gomma, perché ci sono diverse fabbriche famose, una su tutte la Goodyear, e nella quale si vive benino, non c’è grande vita culturale, ma anche scarsa disoccupazione. Dan Auerbach è il figlio di un ingegnere svizzero che è venuto tanti anni fa a lavorare qui, ed ha un amico d’infanzia, Patrick Carney, con cui suona in duo (chitarra e batteria) quando i due sono ancora alle elementari, e suonano ciò che possono, con una tecnica ancora limitata, dai Beatles ai Clash, e solo quando arrivano alla fine del liceo iniziano a registrare brani propri, registrati con un mixer ad otto canali che hanno comprato usato (e rotto) e riaggiustato, così che hanno i canali solo in mono.

“Turn blue”, 2014

Il loro primo disco esce quando entrambi hanno 22 anni, viene registrato nella cantina di casa Carney con quel mixer di cui sopra, e viene venduto, online e per posta, in tutto il Nord degli Stati Uniti, tanto da divenire disco d’oro e sorpresa dell’anno. Il secondo disco ha la stessa gestazione, ed anche lo stesso successo. The Black Keys mischiano tutto, non hanno nessun rispetto per i limiti di genere, dal vivo suonano con un mare di elettronica, perché sono solo due ragazzi, tutto il resto dev’essere preregistrato. Ma il loro successo nasce altrove.

Dapprima il cinema indipendente, poi persino Hollywood si innamora della loro musica, e quindi oltre la metà dei brani dei primi tre dischi (il terzo viene registrato con lo steso mixer ma in una fabbrica abbandonata) viene usata in importanti produzioni cinematografiche, sicché Dan e Patrick diventano ricchi e famosi. Da allora sono passati 15 anni, The Black Keys hanno pubblicato tanti altri dischi, ottenuto tanti altrui successi, sono persino coinvolti in progetti collaterali, e nel 2014 hanno pubblicato “Turn blue”, che è stato votato come miglior album americano dell’anno ed ha avuto un successo commerciale straordinario.

Da allora, basta. Ufficialmente il duo esiste ancora, anche se nessuno dei due abita più in Ohio, anche se hanno preso strade differenti, e suonano sempre più di rado. Dan continua, Patrick si è un po’ stufato: “A 20 anni tutto ti emoziona. Adesso, a 40, ogni giorno passato con le persone che amo è un giorno riuscito, il resto è solo fatica”. Un anno fa lui si è sposato per la terza volta, e vive, insieme alla sua Michelle ed ai figli di tutti i matrimoni, a Nashville, dove fa il produttore ed il contadino. È andato a vivere lì perché ci stava Dan, che ha sempre odiato le grandi città, mentre Patrick aveva passato una decina d’anni a New York, dove era amico di Jack White dei White Stripes, con cui sono ora legati da un odio indissolubile, non ho idea per quale motivo. Dovevo scegliere se fare una scheda sui Black Keys o sui White Stripes. Ho deciso per simpatia e gusto personale, come vedete.

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