Musica
La musica bisestile. Giorno 256. Bud Powell
Il più grande pianista di tutti i tempi, bruciato alla velocità di un cerino tra alcool, droga e bisogno di cercare strade ancora mai trovate da nessuno
THE AMAZING BUD POWELL
Nonostante sia morto prima di compiere 43 anni, di tubercolosi ed alcoolismo, Bud Powell è stato il più grande pianista di bebop ed uno dei più grandi dell’intera storia del jazz, avendo lui iniziato con il jazz classico degli anni 30, avendo seguito Fats Waller, ed avendo poi proseguito con Dizie Gillespie e tutti grandi eroi degli anni 40. Generalmente quel tipo di jazz mi piace poco, perché, nonostante abbia apportato tantissime nuove armonie al catalogo della musica moderna, perché c’era troppo gusto per il ballabile, le melodie, le grandi orchestre che, irreggimentate come dovevano essere, per il mio palato erano noiose.
Ma Bud Powell è schizzato via da questo clichet e si è messo a fare tutt’altro, perché aveva ascoltato Art Tatum alla radio ed aveva sviluppato un modo proprio: il piano diventa un colibrì impazzito, il cui trillare non scompone le armonie, ma le espande ed estende, viaggiando ad una velocità folle che impedisce al brano di avere qualsivoglia ritmo. In teoria, Bud Powell è anche il tratto di connessione tra il bebop ed il cool jazz, ma nei suoi dischi si sentono fortissime le influenze di altri musicisti del suo tempo – tant’è vero che lo chiamavano il Charlie Parker del piano.
Non voglio annoiarvi con troppe considerazioni personali sull’uso del piano nel jazz, ma posso sintetizzarvi un lungo discorso dicendo che il piano è uno strumento ritmico, oppure sostituisce i fiati. In mezzo ci saranno Dave Brubeck e la generazione successiva del jazz, ma alla fine degli anni 50 tutto questo non è ancora accaduto, ma siamo già nel pieno dell’epoca d’oro del jazz, quella in cui tutti i grandi che ho menzionato nelle mie personalissime schede erano attivi e registravano i loro dischi più belli.
A voi chiedo di concedervi un briciolo di pazienza per ascoltare con attenzione il virtuosismo di questo ragazzo, per poter capire che, a partire da questo straordinario album, quel virtuosismo non deve nascondere nulla, non serve a sostituire la mancanza di passione e di direzione artistica. È un peccato che la malattia se lo sia portato via così presto, e del resto la parte finale della sua carriera, minata dal dolore fisico e l’annebbiamento dell’alcool, aveva cancellato tanta della sua magia iniziale. La bellezza è figlia dell’ispirazione, della tecnica sopraffina, della pignoleria, e di un briciolo di pazzia. Ma solo un briciolo. Chi credeva che le droghe liberassero chissà quali potenziali creativi, sbagliava, e tanti ragazzi hanno pagato con la vita il fatto di essere stati troppo deboli o di averci semplicemente creduto.
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