Musica

La musica bisestile. Giorno 241. Miles Davis

3 Gennaio 2019

Forse il più grande trombettista e cornettista della storia, all’apice della sua carriera, in quello che è stato forse il disco più bello e più famoso

‘ROUND ABOUT MIDNIGHT

 

A metà degli anni 50, Miles Davis aveva sviluppato un modo nuovo di suonare, ed i grandi musicisti che lavoravano con lui avevano cercato un modo di trovare nuovi schemi armonici per costruire un nuovo sound di gruppo, non solo andare sul palco come classico quintetto di bebop o di free jazz ed avere – improvvisamente – un trombettista che, come si diceva allora, era “laconico”. Riff velocissimi e complessi, e poi assoli in controtempo, quasi sognanti, durante i quali la batteria ed il basso hanno un ruolo ancora maggiore che in passato, perché recuperano, con le scale, gli argini dell’assolo stesso, che è a volte singhiozzante, oppure essenziale, e dà un effetto nuovo – non di cavalcata selvaggia, ma di intermittenza, melodiosa e del tutto particolare, che costituisce la vera grande novità apportata da Miles Davis al jazz.

“‘round about midnight”, 1957

Scusatemi, ho cercato di descrivere ciò in modo che possa suscitare una qualche assonanza anche in chi adora la musica ma non la scompone professionalmente in frammenti. Tornando al sound, il piano torna ad essere strumento solista, non più percussivo, ma invece molto più vicino allo sviluppo parallelo che lo stesso strumento stava avendo in quegli anni in musicisti classici come Borislav Martinù, che era un grande amico di Burt Bacharach ed aveva influenzato, con le sue sinfonie e le sue partiture per l’opera, lo sviluppo dei jazzisti americani degli anni 50.

Miles Davis non è un ragazzo venuto dai vicoli, è uno che studia e fa parte di un’onda meravigliosa che parte da Gustav Mahler e dal neoclassicismo di Igor Strawinskij, che veniva allora studiato anche nel rock (basti vedere quanto, gli Yes, abbiano usato di quella musica nelle loro composizioni). Con questo disco, però, che è uno dei più famosi della sua produzione, Miles Davis stabilisce un nuovo corso. Con lui, ai fiati si alternano mostri sacri come John Coltrane, Zoot Sims e Gerry Mulligan, c’è Thelonious Monk al piano e Percy Heath al basso.

Credo di averlo ascoltato talmente tante volte da averlo impiantato nel cuore, e sinceramente non saprei quali titoli scegliere, ma l’esempio di laconicità maggiore è nei “Flamenco sketches” del disco “Kind of blue”, che è altrettanto bello, e che scompone, per l’appunto, quella musica folklorica in una ridda di impressioni ed armonie di una lentezza sognante, come se fosse l’ultima, insuperabile milonga. Il disco che ho scelto per voi è più “svelto”. Ma entrambi sono utili per capire non solo la grandezza di Miles Davis, ma il miracolo che furono gli anni 50, nei quali la musica jazz raggiunse le vette più alte di perfezione e passione, prima di divenire, in parte, eclettismo, mescolanza eccessiva o semplicemente piro-tecnica.

 

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