Musica
La musica bisestile. Giorno 237. Syd Barrett
Oramai la lucidità lo ha abbandonato, e lui trascorre quasi tutta la giornata in uno stato di confusione totale. Scrive canzoni, alcune delle quali veramente buone, ma registrare un disco con lui diventa quasi proibitivo
SYD BARRETT
La storia la conoscete tutti. Stava male, vedeva i fantasmi, non si poteva più sapere in anticipo se sarebbe stato in grado di venire in studio o salire sul palco, ed andò a finire che gli altri si misero d’accordo, lo misero alla porta, ed al suo posto chiamarono Dave Gilmour, non solo a causa della sua bravura, ma anche perché veniva da una famiglia ricca ed aveva a casa un’intera strumentazione professionale per suonare dal vivo. Non tutte le storie del rock sono storie pulite, e quella dei Pink Floyd, con tutte le interminabili beghe interne, è una storia a suo modo esemplare.
Resta il fatto che Syd Barrett stava davvero male, e non si riprese più. Fin dall’inizio la band, che suonava di rado, dipendeva dalle condizioni e dall’umore di Syd, che sul palco, da solo, trasformava il concerto in un dramma musicale e di luci, visto che Syd si muoveva all’unisono con le stroboscopiche e, spesso, interrompeva il concerto per declamare poesie improvvisate (e, pare, molto belle), e che durava finché Syd stava in piedi. Mezz’ora o tre ore, non si poteva sapere in anticipo. Dopo l’uscita del primo disco ed il suo immane successo, le cose per Syd erano peggiorate, perché c’era tanta pressione, tanta precisione, tanta programmazione.
Inutile raccontare qui tre anni di delirio, di crescente solitudine, probabilmente di indicibile sofferenza, con la casa discografica che continuava ad esercitare pressione su di lui, perché credeva più in Barrett che nei Pink Floyd senza di lui. Ma Syd non era in grado di decidere nulla, e quasi tre anni dopo la EMI gli mise a disposizione i migliori studi con i migliori musicisti e nessuna regola di tempo da dover rispettare, e con l’aiuto in sala niente popò di meno che di Robert Wyatt, dei Soft Machine, di Kevin Ayers e, a turno, dei vecchi compagni dei Pink Floyd.
Ne uscirono fuori due dischi molto simili tra loro, pubblicizzati male, perché Syd non era in grado di tenere concerti e non andava ad appuntamenti pubblici per presentare il proprio lavoro, che rimase una sorta di segreto per iniziati e successivamente ripubblicato come disco doppio. Alcune delle canzoni sono geniali, il suo talento restava tale, ma la sua mente era completamente andata. Personalmente, il finto nostalgismo di Roger Waters e compagni mi ha sempre dato molto fastidio, ma è indubbio che in Floyd dopo Barrett siano una band completamente diversa, una band che si è guadagnata sul campo le medaglie ed i successi ottenuti. Questo disco documenta solo la fine di una storia tristissima, di come la droga possa distruggere una mente fertile e geniale, di quanto la solitudine e la fragilità di coloro, tra noi, che sono i più deboli, costa un prezzo difficile da stabilire in umanità e bellezza.
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