Musica
La musica bisestile. Giorno 235. Roberto Vecchioni
Michelangelo Romano rivisita le più belle canzoni di Vecchioni perché siano pronte ad affrontare l’eternità
IL GRANDE SOGNO
Paola Parenti aveva sempre con sé una foto in cui lei abbracciava Roberto Vecchioni. Lei, che è da anni la compagna di Matteo Agostinelli, fondatore degli Yuppie Flu, ed amante della musica prog internazionale, aveva (anche lei) questa debolezza per questo professore di liceo di latino e greco, che scrive generalmente canzoni monotone, dal testo pesante e dalle poche armonie, e che pure, nella sua sterminata produzione, ha creato cammei stupendi come “Luci spente a San Siro”, che resta una delle più belle canzoni mai scritte in lingua italiana.
È un fenomeno inesplicabile: ha fatto decine di brani tutti uguali, difficilmente digeribili, e poi, ogni tanto, pluff: un capolavoro. Non tanto musicalmente, che resta un chitarrista mediocre ed un compositore abbastanza limitato, ma dal punto di vista testuale. “Dentro gli occhi” è una canzone straziante sui figli che crescono e noi che invecchiamo, “Canzone per Sergio” (suo fratello, notaio) una riflessione struggente sui nostri privati Anni di Piombo, e poi diverse canzoni d’amore, spesso dedicate all’amore di una vita, Daria Colombo, che è arrivata nel momento della svolta, alla fine degli anni 70, quando lui, professore da anni, scrittore di brani di scarso successo per artisti pop come i Nuovi Angeli, Anna Oxa e Michele, indovina “Samarcanda” e, con l’aiuto di Angelo Branduardi, piazza una canzone ed un album in testa a tutte le classifiche.
Daria, che è una scrittrice affermata, lo aiuta anche nei testi, che diventano più precisi e meno ridondanti, e col passare faticoso degli anni (Vecchioni ha una salute cagionevole e deve superare tutta una serie di malattie, compreso un tumore al rene, che lo stremano per lunghi periodi) questa coppia stupenda è divenuta il simbolo di cosa possa essere una storia d’amore vera tra due artisti veri, senza pugnalate e senza soffocamenti reciproci. Vecchioni ha ripetuto più volte che, sia per lui che per il suo amico Francesco Guccini, aver continuato ad insegnare è stato fondamentale per non perdere il contatto con la realtà e per investire la propria immensa energia in qualcosa di utile, di bello, di divertente e di proficuo, senza che il proprio ego in ebollizione portasse a danneggiare i principali rapporti umani.
Sicché Vecchioni è uno amato e rispettato da tutti, che continua a vincere premi della critica, anche se gli ultimi vent’anni sono stati, dal punto di vista della produzione, superflui, e la canzone con cui ha vinto Sanremo, “Chiamami ancora amore”, parte della tediosa produzione malinconica, armonicamente scarsa, che ha contraddistinto gran parte della sua produzione. Ho scelto “Il grande sogno”, perché in questo disco il suo produttore, Michelangelo Romano, è riuscito ad aggiungere molto melodicamente, ma senza snaturare nulla, e ci sono diverse delle perle di questo cantautore milanese, comprese le “Lettere da Marsala”, scritte quando un magistrato che voleva diventare famoso lo mise in guardia per alcune settimane a Marsala per spaccio di stupefacenti, perché, negli anni del liceo, in un festival, aveva diviso il fumo con un ragazzo locale conosciuto durante un concerto. Ma il Vecchioni maestro è stato anche questo: un mariuolo, figlio di napoletani allegri, che ha insegnato la leggerezza ed ha badato bene a trovare sempre un angolo di divertimento, lasciando la malinconia per le canzoni.
Devi fare login per commentare
Accedi