Musica
La musica bisestile. Giorno 230. Al Di Meola
Uno dei più grandi chitarristi della storia pubblica un disco che raggiunge il suol, il rock ed il country, ma partendo stavolta dalle gelide alture del free jazz
KISS MY AXE
Quante volte ho ascoltato questo disco? Tutte le volte che avevo avuto una giornata impegnativa, e che avevo la testa piena di ragionamenti, e nessuna voglia di calmarmi. Quando mi capitavano quelle giornate di energia esplosiva, che durante le ore di lavoro erano state accantonate a causa di qualcosa di noioso che ero stato costretto ad anteporre a sogni e speranze, ed al salir della luna restava tanta voglia in corpo da rendere impossibile andare a dormire, e cercavo di ritirarmi in un angolino di solitudine per concentrarmi su un testo, su una canzone, su un libro, su una porta che si era socchiusa e che aspettava di capire se io ci avrei infilato dentro il piede per tenerla aperta o no.
Poi, una sera di pioggia, mi trovai chiuso in un bar di Bobbio, un bellissimo paesino incastrato negli Appennini, dove avevo deciso di passare la notte prima di andare a Genova, dove avrei dovuto incontrare un magistrato per un articolo. Il bar vendeva panini caldi, ed io non avevo voglia di mettermi in giro per bagnarmi come un pulcino, mi bastava mangiare lì, e quindi si fece tardi, perché mi persi leggendo un libro.
Pioveva a dirotto, davvero, e c’era pochissima gente. Ad un tratto l’oste mise su quel disco. Da dietro era entrata una donna bellissima, di una cinquantina d’anni, e si era appoggiata con grazia al bancone, guardando l’oste con occhio severo. Lui aveva asciugato dei bicchieri, poi mi aveva guardato con sospetto, io avevo sorriso, e lui era uscito fuori, le aveva preso le mani, e si erano messi a ballare. Ballavano ora stretti, ora lontani, ed allora c’erano solo pochissime dita a tenerli uniti, oltre ad uno sguardo che io, per pudore, non guardavo.
Mi sembrava impossibile ballare sugli assoli di Al Di Meola, ma del resto sapevo bene quanto questo disco, sotto la superficie leggera e latina, avesse una sua profondità speciale, quasi non voluta, una scaturigine indefessa, che cresce di brano in brano, un soppalco fatto di armonia e di quinte, di blues nascosto, di una capacità tecnica che, in altri dischi, strozza la musica di questo chitarrista pazzesco, ma che in “Kiss my axe”, forse perché era stato concepito, fin dall’inizio, come una sorta di scherzo, non avviene.
L’intero disco ha lo stesso livello, è stato difficile scegliere i pezzi migliori, ma se cercate una musica speciale, questo disco fa per voi. Nel frattempo la donna, sempre più bellissima e svolazzante, aveva dato un bacio all’oste, e quelle labbra erano il centro di un universo intero, pieno di marmellata dolce e calda, che giustificava la tristezza immane di quella pioggia scrosciante in un paesino perduto sui monti in una strada che nessuno percorre mai, se non d’estate, per visitare un ponte medievale e mangiare un piatto di chissà cosa. Io a Bobbio non ci sono andato mai più. Avrei paura di andare in quel bar e non trovare più quell’amore altrui, che mi aveva scaldato. Ed ho smesso di ascoltare questo disco, per pudore, o per eccesso di affetto.
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