Musica

La musica bisestile. Giorno 23. Lynyrd Skynyrd

16 Settembre 2018

Quando i bulli suonano il rock, allora è sporco e cattivo. E se quel rock diventa un simbolo dell’America, allora il loro grido chauvinista contro Neil Young diventa il simbolo della rivincirìta dei sudisti, un secolo dopo aver perso la guerra civile

SECOND HELPING

 

Un gruppo di ragazzini che hanno problemi a scuola, a Jacksonville in Florida. Problemi legati con la zazzera hippie, proibita dal Professore di Fisica, Leonard Skinner, ad un liceo di quella città. I ragazzini, Ronnie Van Zant, Bob Burns e Gary Rossington, protestano: avete capito male, non siamo surfisti della California e non offriamo fiori per i cannoni. Noi odiamo gli hippie, noi siamo cowboys del Sud, e vogliamo avere capelli lunghi da uomini, non corti da damerini dell’Esercito. Non servì a nulla, li cacciarono via.

“Second helping”, 1974

Loro suonavano in diecimila complessini, e suonavano qualcosa che non esisteva ancora: un country rock che manteneva la linearità essenziale del blues bianco (accordi in maggiore, pochi svolazzi), che poi sarà la carta vincente degli ZZ Top, coniugata con un riff che viene dritto dritto dall’hard rock, specie copiando Deep Purple e Spookie Tooth, ma anche alcune band del beat britannici, come i Troggs. E decisero, per sfottere quel professore, di chiamarsi come lui: Leonard Skinner, divenuto Lynyrd Skynyrd. E confermavano tutti i clichet sulla vita fatta di botte, alcool, chauvinismo e sfide per dimostrare coraggio che si vedono in centinaia di film su quella parte degli Stati Uniti in cui non ci sono città, ma sterminate aree di villaggi di contadini e piccoli commercianti.

Suonavano tanto, perché avevano bisogno di soldi e si divertivano come pazzi, e vennero notati da Al Kooper dei Blood Sweat & Tears, che li portò alla MCA. Nella grande città, dove il loro essere cowboys faceva ancora più impressione, li ghettizzava ma allo stesso tempo li rendeva affascinanti, specie perché facevano tutto insieme, bisboccia e risse. E comunque sapevano suonare, eccome. Nelle prime registrazioni sembra di sentire una cover band degli Allman Brothers ma poi, alla fine del 1973, la band esplode, ed inizia un percorso tutto suo, parallelo agli Outlaws e ad altre band del Sud, che si battono contro il folk ed il blues delle Giacche Blu.

La maggior parte delle canzoni nascono in sala di incisione, e quindi hanno moltissimi riferimenti alla ricerca musicale, come Workin’ for MCA, che è il primo vero pezzo veramente dverso. Lo improvvisano perché si sono stufati di rifare e rifare le stesse parti con tecnici che parlano un dialetto strano e non capiscono gli scherzi del “buon vecchio Sud”. Tre giorno dopo la band si infuria ascoltando una canzone di Neil Young, Alabama, sicché Rossington scrive un paio di strofe, mentre Van Zant improvvisa un riff sulla solita sempiterna facile facile scala SOL-FA-DO. In due ore nasce Sweet Home Alabama, uno dei pezzi più belli e famosi della storia del rock.

I discografici se ne rendono conto: ora abbiamo in mano una canzone che farà davvero successo. Ed iniziano a pompare con la macchina della pubblicità, finché la band, innervosita, scriverà anche un brano in proposito: Don’t Ask me No Questions. Il disco esce e scala le classifiche di tutto il mondo. Belli, giovani, dannati e politicamente scorretti. Ma non riusciranno a ripetere questa leggerezza, continueranno a combinarne di ogni, a rischiare con giochi folli, a litigare con tutti, e nel 1977 tre componenti della band, compreso il talentuosissimo chitarrista Ronnie Van Zant, moriranno in un incidente aereo. Ma questo disco resta, è semplicemente immortale: big wheels, keep on turning!

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