Musica
La musica bisestile. Giorno 221. Paolo Conte
Aveva scritto tante canzoni famose, ma per altri. Con quell’aspetto burbero e quella voce roca e scostante nessuno credeva che avrebbe mai potuto vendere un solo disco. Finché non uscirono i suoi primi tre dischi, l’uno dopo l’altro
PAOLO CONTE
Credo sia superfluo dire che, da bambino, “Azzurro” fosse l’unica canzone che conoscessi, per intero, a memoria, e questo nonostante la profonda antipatia che ho sempre nutrito per Adriano Celentano, il re della millanteria, il supercantante stonato, il ladro di canzoni, l’uomo che ha elevato la stolidità a monumento narcisistico, una sorta di patetico Lino Banfi al contrario, che ha guadagnato i miliardi con la sua scaltrezza e la sua spregiudicatezza. Come chiunque altro, dell’esistenza di Paolo Conte non sapevo nulla.
Tantissimi anni dopo vidi un suo video in TV, “Uomo camion”, e pensai che se quell’energumeno voleva fare il cantante avesse sbagliato mestiere alla grande. Finché una notte, strimpellando tra mille altri a Piazza Navona, un tizio non prese a suonare “Bartali”. Imparai la canzone quella sera stessa, senza sapere di chi fosse. Due miei amici, Angelo Pappadà ed Antonio Graziosi, la conoscevano e la canticchiavano spesso. Da loro ho saputo che, dietro quel capolavoro, ci fosse Paolo Conte, e mi venne rivelata la verità su “Azzurro” e tante altre canzoni “estive” della mia fanciullezza, portate al successo da Bruno Lauzi (“Onda su onda”, “Genova per noi”), dall’Equipe 84 (“Una giornata al mare”), Enzo Jannacci (“Mexico e nuvole”), e chissà chi altro.
Per cui, all’alba del 1980, andai a vedere un suo concerto, pieno di curiosità. Lui cominciò con tutte divertenti immagini dell’immediato dopoguerra, dalla “Topolino amaranto” alle fisarmoniche, alle Vanda, alle bionde di paese, alla passeggiata domenicale per il gelato, e finalmente arrivò a “Bartali”. Ne fui deluso: la versione di Antonio Graziosi mi piaceva di più, aveva più rabbia e sarcasmo, Conte la borbottava compiaciuto, senza trasmettere alcun senso di rivincita. Proprio in quel momento, il contrabbasso attaccò “Alle prese con una verde milonga”. Con quella canzone mi sono perdutamente innamorato, avrei voluto che non finisse mai. Eccomi qui, sono venuto a suonare, e di nascosto ad amare. Finché Atahualpa, o qualche altro Dio, verrà e mi darà una spallata: Su, descansate niño, che continuo io.
Lo spiega bene il mio caro amico Gianfranco Bufacchi: sono quelle melodie che spiegano e giustificano tutta la nostra vita. Dopodiché Paolo Conte ha scritto un universo di grandissime canzoni, ed ho molti dei suoi dischi, specie dal vivo, dove rende meglio. E quando sogno di me, di una giornata perfetta, tra l’oleandro e il baobab, mi vedo ancora ragazzo, seduto su un paracarro, pensando agli affari miei, mentre nell’aria c’è un silenzio che descriverti non saprei. Perché Paolo Conte, nella sua carriera, è riuscito a rendere romantica e profonda la noia, a cantare l’emozione dei momenti di quiete, quasi di assenza. Ed ora, che tramonta questa vita in arancione, tra i giornali che svolazzano, ed i francesi che si incazzano, abbaio anch’io alla campagna e mi preparo, pieno di gratitudine, per il grande salto.
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