Musica
La musica bisestile. Giorno 220. Nits
In viaggio con la più grande band olandese di sempre, tra il pallone giocato da ragazzi e le montagne e le stazioni ferroviarie scaklate da adulti
URK
All’inizio si chiamavano Supersister e fecero un solo disco, molto bello e molto sperimentale, nel senso che cercarono di conciliare la ricerca di un’icona come Jan Akkerman (il padre della musica prog olandese) con le ballate folk di Bob Vreijswijk (tanto accordeon, come ai tempi di Jacques Brel) ed il jazz pazzo e meraviglioso di Daevid Allen dei Gong. Divennero quasi immediatamente i principi della scena musicale olandese, altrimenti terra di conquista di band straniere, o del pop melenso ed insopportabile dei Golden Earring o dei Cats.
La band era guidata dal chitarrista Henk Hofstede, che intorno a sé, di volta in volta, ha riunito i migliori musicisti disponibili ad Amsterdam e L’Aja, e già nel 1974 aveva un contratto discografico in tasca, anche se le canzoni (quasi tutte scritte in due lingue, il più delle volte in inglese ed italiano) erano ancora tediose, molto lente, più vicine alle ballate folk che alle tendenze più moderne – finché Hank non accettò di prendere anche un tastierista e Robert Jan Stips (il fondatore e leader delle Supersister) divenne una delle colonne della band, che ora si chiamo Nits (il Nulla) ed iniziano a scrivere testi con un addentellato sociale, ma autocritico (cosa che in Olanda generalmente non piace) e di sfottò contro il clichet nazionali (cosa che è accettata ancora meno).
Il successo arriva subito, la canzone “In the Dutch mountains” diventa una hit in tutto il mondo – uno scherzo, visto che in Olanda non solo non ci sono montagne, ma nemmeno colline, e la canzone descrive in finto patriottismo l’orgoglio dei montanari “orantje”. Da allora in poi i Nits sono diventati un punto di riferimento culturale ancora prima di una band di successo mondiale, con dei tour costruiti con grande cura e fantasia tra musica, film ed installazioni. Amo molte delle loro canzoni, ma credo che la mia preferita sia “J.O.S. days”.
La canzone tratta del periodo giovanile in cui Hank e Robert giocavano nel JOS Watergrafsmeer, una squadra dilettante di Amsterdam (oggi gioca nell’equivalente dell’eccellenza regionale italiana) e che è sempre stata una fucina per l’Ajax: tantissimi figli di operai giocavano lì fino verso i 13 anni, poi l’Ajax li portava via, o loro continuavano fino a 16, quando erano costretti ad andare a lavorare. Il più famoso allenatore dello JOS fu Rinus Michels, l’inventore del calcio a zona olandese, e nello JOS giocarono anche campioni come Cruijff e Neeksens. Il calcio amatoriale olandese ha una caratteristica: si gioca secondo disposizioni tattiche severissime, non importa a quale livello stiamo.
Questo non soffoca la creatività, ma dà anche ai più scarsi un compito da svolgere che ne esalta altre qualità, come l’intelligenza e la corsa. Quando giocavo con gli ammogliati di Berkel Enschot, insieme a mio fratello di sangue, Jeroen Baldwin, potevo correre ed occhi chiusi e sapere dove avrei ricevuto la palla. Entusiasmante. Anche il papà di Jeroen, Ben, fino ai 60 ha giocato ogni weekend, facendo sempre la sua figura. Il mio amico Carsten Rose, cresciuto come attore di teatro nella DDR, giocò con noi la sua prima partita della vita, divertendosi un mondo. Scherzando su questo “topos” e su altre cose tipiche di quel Paese piccolo e tignoso, i Nits hanno creato un monumento al popolo olandese, che a mio avviso è sintetizzato in questo album triplo dal vivo, registrato subito prima che la band si sfaldasse, l’organico venisse rifondato, e la musica cambiasse (purtroppo) per sempre.
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