Musica
La musica bisestile. Giorno 194. Sergio Endrigo
Veniva considerato un malinconico ed un solitario, mentre invece era un solido e riflessivo militante comunista con il gusto per la musica brasiliana e le storia d’amore impossibili
L’ARCA DI NOÉ
Sergio Endrigo è stato uno dei più grandi artisti italiani del Novecento. Uno di quelli a bassa voce, che ha sempre fatto fatica a sgomitare, e che alla fine della vita era amareggiato, perché il mondo in cui credeva stava rapidamente scomparendo, ed in confronto ad altri autori (come Bennato, Guccini, Lolli, Gaber, De André), si trovava in difetto di una generazione. Era un uomo degli anni Cinquanta e Sessanta, che con la crisi che iniziò con la strategia della tensione rimase tagliato fuori, non riuscì a trovare rime incisive per spiegare la sua rabbia, la sua passione, il suo essere di una frontiera, quella tra Trieste ed il resto dell’Europa, per cui i suoi contemporanei avevano pagato un enorme e non riconosciuto tributo di dolore, di sangue e di umiliazione.
Forse anche per questo si trovava così bene con gli artisti brasiliani ed argentini, perché come loro era più cuore che pathos, più sangue che ira. Anche nelle canzoni d’amore, con cui Endrigo è diventato famoso, si vede la differenza lampante tra l’epos medievale (che ancora impregnava la maggior parte delle canzonette, il mercato su cui lui era costretto a competere) e la sua narrazione borghese (in senso positivo), una narrazione in cui gli unici buoni sono i bambini, mentre gli adulti sono vittime della loro solitudine, delle loro contraddizioni, dei loro destini, della loro confusione.
“Io che amo solo te” non è solo una delle più grandi canzoni d’amore mai scritte, è un inno ad un amore pieno ed adulto, il contrario della passione soffocante e chauvinista che ancora oggi pervade il mondo della canzonetta. Ma mentre Claudio Lolli, in “Anna di Francia”, tracciava uno splendido quadro di amore inteso anche come impegno sociale e politico, Endrigo canta con la naturalezza di un uomo che sa di cosa si stia cantando, che abbia capito di cosa abbiano veramente bisogno le persone, e che sappia per esperienza che l’amore è un’avventura quasi impossibile, eppure irrinunciabile, che va tentata non da ragazzini, ma da adulti.
E lo fa anche in modo giocoso, a significare che essere adulti non significa essere rigidi e musoni, ma adulti, consapevoli, felici di essere vivi ma coscienti delle difficoltà che la vita ci mette di fronte. Il suo è un amore libero dal bisogno, come quello di “Teresa”, e quello di “Lontano dagli occhi”. La delusione e la tristezza non sono una sconfitta, non sono pessimismo. Nel momento in cui le cose, per tutti, diverranno veramente difficili e pericolose l’essere umano farà partire una nuova Arca di Noé, e speriamo che stavolta sia per una nuova e vera alleanza tra tutti gli uomini, e non solo tra una tribù ed il suo Dio.
https://www.youtube.com/watch?v=W1_rXLFi6vk
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