Musica
La musica bisestile. Giorno 178. The Police
La musica pop si mischia al reggae, al punk ed al rock. Nuovi suoni, una nuova estetica, il recupero della moda dei Mods, degli anni 50, adattata all’Inghilterra thatcheriana, desolata e folle, che non vede l’ora di poter evadere dalle angustie della vita quotidiana in una visione a metà tra Mad Max ed i ribelli del beat fine anni 50: The Police!
REGGATTA DE BLANC
Il successo travolgente di “Roxanne”, “So lonely” ed in generale dell’intero primo disco, aveva portato i Police in tour per oltre sette mesi. Si trattava comunque di musicisti già affermati e di esperienza: Sting, che era autodidatta, insegnava alle scuole medie di un paesino del nord e la sera suonava jazz con diversi gruppi locali. Nella sua testa c’erano, come riferimento, i Cream, e quindi l’idea che basso e cantante fossero la guida di una band moderna, mentre un chitarrista virtuoso sostituisse la parte ritmica, spesso affidata alle tastiere, ed il batterista entrasse a far parte attivamente della linea melodica, usando tipi diversi di percussione, dallo xilofono a strumenti etnici.
Stewart Copeland, figlio di un ufficiale della CIA, cresciuto quindi tra il Cairo, Beirut e la California, aveva avuto un percorso scolastico legato alla musica classica (ed infatti oggi lavora come compositore) ed aveva suonato la batteria per i Curved Air nel loro tour d’addio, e per questo era finito in Inghilterra. Lui e Sting si erano incontrati sul palco, suonando il jazz. Andy Summers, che era più vecchio di dieci anni rispetto agli altri, era uno dei migliori turnisti del mondo, avendo suonato con Zoot Money, gli Animals, i Traffic, i Soft Machine, Kevin Ayers e poi in “Tubular bells” di Mike Oldfield.
I tre erano talmente certi del fatto loro, che registrarono il primo disco con meno di 3000 sterline, in pochi giorni, ed erano già in tour prima che il disco uscisse. Ma dopo sette mesi, invece di essere stanchi, i tre avevano perfezionato le loro idee, avevano imparato a tirare fuori il meglio dai brani già registrati, e la fama mondiale li spingeva a fare concerti più lunghi ed a fare una scelta precisa: il sound di riferimento non è più quello dei Cream, ma del punk, a trazione basso (e non chitarra), con il ritmo reggae in levare. Per “riempire” questo suono, Stewart Copeland introduce un modo di suonare la batteria e le percussioni davvero unico al mondo, che fa di lui il migliore al mondo. Ascoltate con attenzione “Walking on the Moon”, che insieme all’inno “Message in a bottle”, forse il brano migliore dei Police, e percepirete una sarabanda di ritmi ed armonie percussive completamente nuove e complesse, sul quale tappeto Sting impara a suonare il basso non più come strumento ritmico, ma davvero come guida melodica.
Per questo motivo questo disco è un capolavoro unico, perché già a partire dal disco successivo la radice jazzistica prenderà il sopravvento, ed il reggae punk dell’inizio diventerà pop con uno spruzzo di jazz. Dopodiché c’è tutto il glamour, la grande campagna pubblicitaria che aveva promosso Sting come bello senz’anima, una vita pubblica gestita con grande oculatezza ed abilità, ed un atteggiamento più vicino a quello dei teddy boys degli anni 50 che al punk inglese o tedesco della fine degli anni 70. Ma qui giudichiamo la musica, e questo disco è immortale.
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