Musica

La musica bisestile. Giorno 177. Ornette Coleman

2 Dicembre 2018

Ornette Coleman impone una nuova visione del piano e nuove armonie sull’equilibrio tra i fiati. Il jazz suonato dai mostri sacri come Sonny Rollins e Gerry Mulligan era pronto alla sua nuova svolta stilistica

 

THE SHAPES OF JAZZ TO COME

 

Aveva solo 29 anni, ed aveva fatto la gavetta come tutti. Era partito dal Texas, in cui era cresciuto, era andato a New Orleans a soli 19 anni perché lì, suonando il sax, si poteva guadagnare per vivere, e poi da lì, stufo di suonare sempre i soliti standards e sempre allo stesso modo, e quindi era andato a Los Angeles. Lì ascoltò Sonny Rollins, ne restò fulminato, ed andò a New York, dove all’inizio faceva qualunque lavoretto per sopravvivere e poi, di notte, girava per i bar e proponeva i suoi assoli destrutturati.

“The shape of jazz to come”, 1959

Diceva che quello sarebbe stato il futuro. Ma Paul Bley e Don Cherry si misero a suonare con lui, e gli procurarono un contratto discografico, perché nessuno come Ornette suonava un jazz vicino non solo al blues, ma alla musica africana retrostante. Quando sentivi lui in coppia con Charlie Haden (che è stato, fino alla morte nel 2004, il contrabbassista di Pat Metheny), ascoltavi la savana rimbombare di inni tribali e di fiere dalle voci arcane. E così, a 29 anni, insieme a loro incise questo album, che fu un successo discografico travolgente, ed anche l’inizio ed il vangelo del free jazz.

Free fino ad un certo punto. Prima di tutto: il piano è solo uno strumento ritmico, meglio addirittura se non c’è (in questo disco c’è ancora, ma negli anni successivi Ornette suonò senza). Gli accordi, le armonie, le costruiscono i diversi fiati, magari insieme, magari improvvisando, così chi scrive la partitura concede due assoli contemporaneamente, ma sue due tonalità differenti, così come ci si immagina nella prateria che si estende a perdita d’occhio alla base del Kilimanjaro, così come solo chi abbia una tecnica sopraffina ed un grande orecchio può fare. Il risultato, naturalmente, dipende da chi ascolta.

Credo che la mia generazione sia l’ultima a percepirne la profondità, l’accorato appello alla nostra ancestralità, che fa dire a molti che, quando ascolti Coleman, ti senti più in pace col mondo, ed innamorato dell’essere vivo. Anche lui fa parte di quei musicisti che ho scoperto da ragazzo, quando dormivo in camera di mio nonno, che stava malissimo ed era stato trasferito in camera mia per essere curato da mia madre. Nonno Enzo aveva una radio stupenda accanto al letto, ed io ascoltavo il jazz fino ad addormentarmi dolcemente, dopo il giornale radio di mezzanotte, e sognavo un mondo diverso e lontanissimo dalla Borgata Montespaccato, dove vivevo. Un mondo fatto degli animali che, in TV, presentava il professor Lombardi, e di avventure e scoperte, tra i romanzi di Nancy Drew, i fumetti di Luc Orient ed i miei amatissimi Classici Urania.

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