Musica
La musica bisestile. Giorno 166. Dire Straits
Mark Knopfler è un genio che ha inventato un sound tutto suo e suona la chitarra ad una velocità pazzesca. In quel modo le sue canzoni, lunghe storie piene di scene, diventano movimentate, racconti quasi filmici – ed è anche nella musica da film che lui ed i Dire Straits raggiungono i risultati più belli
ALCHEMY
All’inizio nemmeno mi piacevano, brani lunghi e sempre uguali, accordi semplici e ripetitivi, e poi Mark Knopfler che svaria. Bravo, eh, non si discute, ma anche che strazio, e poi quella voce da due di pressione ed uno di malinconia. Facevamo in quattro una trasmissione in radio, Renato era fissato con Leo Ferré, Riccardo con i Dire Straits, metà del tempo ero in apnea. Mi sembrava che dopo i tempi eroici dei grandi chitarristi rock, o delle complesse melodie prog, ora sta roba commerciale fosse un paio di gradini troppo in basso per essere sopportabile.
Ed è andata avanti così per qualche anno, finché, nel luglio del 1983, non vennero a suonare all’Ippodromo delle Capannelle, a Roma, ed io non mi ritrovai insieme ad un gruppetto di amici ad avere i biglietti per un loro concerto. Dal vivo, mi sono accorto subito, erano completamente un’altra storia. Con Alan Clark la posto del fratello di Mark Knopfler, tastiere e seconda chitarra avevano acquistato enormemente in dinamica, e gli assoli erano diventati parti della composizione, regolamentati e costruiti con dei crescendo di basso che, dalla dominante, saliva di pressione e di tono, in contrapposizione alle tastiere, che con una nota piatta scandivano il nuovo metronomo della band.
Il risultato era pazzesco, e difatti, durante il tour, Knopfler, Clark ed Illsley stavano scrivendo “Brothers in Arms”, che è un album completamente differente dai primi Dire Straits e resterà quello di maggior successo, quello che tutti ricordano. Ma a quel punto la band, che è sempre stata commerciale, aveva turnisti pazzeschi, da Sting a Jeff Porcaro dei Toto, da Roy Bittan a Tommy Mandell (che hanno suonato con tutti i più grandi d’America), da Tony Levine (Peter Gabriel) a Chris White (Robbie Williams ed altri). Alla fin fine, quella band dell’album azzurro non ha più nulla a che vedere con i Dire Straits originali.
Per questo motivo amo questo doppio dal vivo: perché mostra che le composizioni dei fratelli Knopfler, se suonate da musicisti migliori, potevano diventare capolavori e generare uno stile assolutamente unico, lontano dal folk-rock anglosassone, che in fondo (basta ascoltare la sua produzione solista) è la casa madre nell’ambito della quale Mark Knopfler è cresciuto ed ha vissuto. Sicché, prima che si sputtanasse con hillbillies, Chet Atkins ed altre cose preistoriche, “Alchemy”, anche per la struggente versione di “Going Home”, colonna sonora di un film meraviglioso ed indimenticabile come “Local Hero”, è l’unico album, a mio parere, che mostra i Dire Straits al culmine della loro parabola artistica.
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