Musica

La musica bisestile. Giorno 161. Jellyfish

24 Novembre 2018

Una delle band californiane più dotate degli anni 80, esplosa per le liti tra i musicisti e poi dimenticata dal pubblico e dalla critica

 

BELLYBUTTON

 

L’album era uscito da poco, era entrato in classifica, perché era a metà strada tra Toto, Supertramp e la Electric Light Orchestra, e nei videoclip erano tutti giovani, coloratissimi, come folletti dei boschi, per cui funzionavano. Andy Sturmer, cantante e batterista dei Jellyfish (le meduse), spiegava a MTV la sua percezione della band e del disco “Bellybutton” (ombelico), dicendo: “Veniamo dalla California, e lì, ogni autunno, i bar delle città vengono attaccati da centinaia di nuove band di ragazzi locali, di ragazzi transumanti, di ragazzi disperati, di ragazzi che vogliono vedere almeno una volta L.A., Frisco e le spiagge”.

“Bellybutton”, 1990

“Per sopravvivere come band di strada, senza contratto discografico, ma abbastanza conosciuta, per potersi affermare in un determinato posteggio degli autobus nel quale, dopo un po’, vieni tollerato e la gente viene a sentirti, devi essere straordinario e devi avere alcune hit che non siano cover. Se vuoi fare carriera nella musica, devi avere un amico potente o una hit mondiale. Noi ci odiamo, cerchiamo di non frequentarci mai al di fuori dei momenti in cui suoniamo, quando ci incontriamo veniamo spesso accompagnati, nel caso che si debba fare a botte. Ma abbiamo amici potenti, suoniamo benissimo, abbiamo un sound chiaro ed abbiamo le hit”.

Era vero. Per strada li aveva scoperti Peter Gabriel, che li aveva portati alla Charisma, e loro avevano questo disco praticamente già pronto, e con i musicisti da studio della casa discografica dell’ex cantante dei Genesis registrarono tutto in dieci giorni: una musica maestosa, piena di orpelli, dettagli, ninnoli, citazioni, cori come negli anni 60 e giri di chitarra che strizzano l’occhiolino a Brian May dei Queen. Dite che ne parlo male? Vi sbagliate.

Non sapevo che esistessero e mi portarono a vederli dal vivo a Zurigo, e vi assicuro che ne fui incantato, perché dal vivo facevano veramente un pandemonio. Si vedeva chiaramente che non si sopportavano (oppure recitavano bene la parte), si insultavano, suonavano tre battute e poi stop, digrignare di denti, accuse di aver sbagliato e ripartenze. Quasi troppo perfetti per essere veri.

Sicché di loro amo le melodie ricercate e non banali, e questa immensa tigna, questa dedizione assoluta, che ha permesso loro di registrare un album che è poi stato citato da tutti per almeno un decennio, perché, dopo di loro, cito a memoria gli artisti che li definivano una delle loro maggiori fonti di ispirazione: i Crowded House, Elvis Costello, gli Oasis, Sheryl Crow, gli REM. Qualcosa dovrà pur significare. Tre anni dopo fecero un altro disco, ma litigavano troppo per fare un vero tour promozionale, e la cosa finì li. Di Andy Sturmer non so nulla, ed il chitarrista Roger Joseph Manning, invece, è diventato un richiestissimo musicista da studio, e lavora attualmente con la band Interpol. E scusate se è poco.

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