Musica

La musica bisestile. Giorno 158. Charlie Parker

22 Novembre 2018

Probabilmente è stato il più grande, il più folle, il più scanzonato, quello meno legato agli schemi, quello ancora più moderno dei più azzardati. E forse è morto giovane proprio per questo, bruciando come una candela

 

BIRD ON 52ND STREET

 

Quando ascolto i dischi di Bird, che le devi immaginare nel raschiare di quelle registrazioni improvvisate, in cui suonava con Miles Davos e Max Roach, e c’era qualcuno che faceva partire le vecchie bobine del “Geloso”, che era il modello dei poverissimi del Revox… quando ascolto quelle registrazioni immagino il fumo, il puzzo, la gente imbambolata ad ascoltare una musica che nessuno aveva mai osato suonare. E difatti Charlie Parker, per vivere, suonava nell’orchestra di Earl Hines, e poi, la notte, con Dizzie Gillespie, Miles Davis ed un paio di amici, andava nelle peggio bettole e dava sfogo alla sua frenesia, alla sua bravura, ad una sensibilità quasi isterica, che dovevi essere fuori di testa per starle dietro.

“Bird on 52nd Street”, 1948

Sulla 52nd Street c’erano i locali in cui spesso finivano a suonare fino al mattino. E nel 1945, insieme a Miles, Bird scrisse “Koko”, che ho aggiunto, anche se non è su questo disco fondamentale, perché è il primo brano di bebop della storia della musica – un brano che ha cambiato il modo di suonare ed ascoltare e, per la prima volta, non era né nero né bianco, era musica per tecnici pieni di cuore, ma che lo usassero per fare ciò che nessun altro era tecnicamente in grado di fare. Ed è per questo, probabilmente, che Charlie “Bird” Parker, morto a 34 anni per essersi bruciato cervello, stomaco e vene con tutti i veleni possibili, è tuttora considerato il più grande sassofonista mai nato.

Nel 1949, per ospitare la musica che lui aveva creato, all’angolo della 52nd Street nacque un locale intitolato a lui, Birdland, che divenne poi il titolo di un brano famosissimo. Charlie Parker ci ha suonato una volta sola. Alla fine della guerra stava già talmente male che i locali gli proibivano l’entrata, perché si metteva nei guai, o crollava a terra esanime. Era già alla fine della sua pista. Amo questo disco, registrato da un pirata nel 1948 e poi pubblicato due anni dopo, perché mi è stato utile per imparare la differenza tra lui e tutti coloro che c’erano stati prima, perché suona tutti classici degli anni 30 e 40, ma li suona come solo lui e Miles Davis assieme sarebbero stati capaci di fare.

Ed è una sorta di macigno funereo sull’ennesimo talento bruciato da sé stesso, sulla propria incapacità di gestire il proprio entusiasmo, la propria creatività, la propria energia.

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