Musica
La musica bisestile. Giorno 148. Bruce Springsteen & the E Street Band
Ci sono pochissimi dischi ad essere talmente famosi, talmente speciali, da essersi imposti ben al di là dei confini di genere. Con questo album Bruce Springsteen è diventato ricco, ma ha anche ottenuto un posto nel Walhalla della musica rock, che nessuno gli contesterà mai più
BORN IN THE USA
C’è poco da discutere: 60 milioni di album venduti, sette singoli contemporaneamente in classifica, MTV e gli altri canali che mandavano i videoclip a manetta, concerti oceanici. I dischi che hanno avuto un simile impatto a livello mondiale si contano sulle dita di una mano. Un risultato ottenuto con una band eccezionale, che dal vivo esercita una pressione mai vista. Cosa è la pressione? Si tratta di una categoria precisa, ma difficilmente replicabile. La E Street Band fa BUM, ogni volta che la ascolti, a prescindere dal volume. Sono pochissime le band così: i Muse, i primi Beatles, i Deep Purle di Made in Japan, a volte gli U2. Qualunque cosa facciano, hai l’impressione che picchino come assassini, e ti fanno sobbalzare lo stomaco.
Il nucleo trainante della band è costituito da Bruce, dal suo chitarrista Little Steven, dal tastierista Roy Bittan e dal sax di Clarence Clemons. Il primo, di per sé, è un cantautore folk, bellissimi testi e melodie spartane. Il secondo è meta calabrese, metà pellerossa, ed è un virtuoso del Southern Rock (Lynyrd Skynyrd) trasportato nelle grandi città industriali del Nord. Il terzo è il più importante, perché è quello che, più di tutti, è stato un epigono della pressione, lavorando ed inventando un sound per Jim Steinman (quindi Meat Loaf, Bonnie Tyler, Sheena Easton e via di seguito), poi uno per Bon Jovi, uno per David Bowie, e suonava nella band di Tracy Chapman, di Jackson Browne, di Bob Seger, di Patti Smith.
Tutti artisti che si riconoscono immediatamente per delle tastiere usate quasi come una batteria, che sono state il punto di partenza per dei gruppi new wave come i Depeche Mode, che si sono ispirati dichiaratamente a lui. Mentre Clarence Clemons è stato l’anima nera del sax, un gigante con due polmoni forti come un camion col rimorchio. I quattro facevano talmente tanta pressione, che spesso, dal vivo, suonavano con due batteristi. In questo disco ci sono dei giri di accordi semplicissimi, con delle melodie quasi banali, sorrette appunto da questa potenza immane. Sul palco sembravano tutti strafatti di abbia ed entusiasmo.
Una volta, pochi giorni dopo essere stato mollato da una fotografa famosa, Annie Leibovitz, che era la fotografa ufficiale di tutti i rockers famosi, lei venne sul palco durante un concerto e lui, dopo aver cantato una canzone piena di rabbia, la rincorse, la prese in braccio e la buttò di sotto, urlando: vattene stronza. Un pazzo forsennato, ma amato anche per questo: un camionista come descritto nel meraviglioso romanzo di Gimenez Bartlett, una forza dell’inferno scatenata in terra. Ad un Open Air li vidi suonare per ultimi. Prima di loro c’erano gli Aerosmith. Ebbene, comparati, i primi sembrava che suonassero sottovoce. Senza benzina, senza estro, senza cuore, senza adrenalina, senza sembrare mai veramente essenziali per la nostra anima.
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