Musica

La musica bisestile. Giorno 133. Donovan

10 Novembre 2018

Per alcuni anni aveva conteso a Bob Dylan la palma dell’artista folk più famoso del mondo, ma rimase ingabbiato nelle sue immagini bucoliche e psichedeliche, continuando a coltivare un suo pubblico, ma senza più raggiungere il successo che aveva fino a questo disco…

 

BARABAJAGAL

 

Ho sbagliato tantissimo, nella vita – come tutti. Ma più vado avanti con gli anni, più diventano chiare alcune cose. Non posso rimediare al male che ho fatto, ma almeno posso vederlo e cercare di evitare non solo di ripeterlo, ma di permettere che si creino i presupposti. Mi attacco quindi a quei ricordi, quelle immagini, che ho imparato dall’affetto più grande che io abbia mai avuto (dopo quello per mia figlia Valentina): Giorgio Gaber. Lo so, è noioso. Ma è stato lui a dire: la vita è come un’equazione. Sbagli un puntino qualunque, e nella riga dopo non si vede nemmeno. Ma qualche riga più tardi l’equazione diventa enorme, irrisolvibile, mostruosa, e nessuno riesce più a capire cosa e dove sia andato talmente storto da deviare il corso dell’unica vita che abbiamo.

“Barabajagal”, 1969

Una delle immagini più forti è il retro di copertina di questo disco. E’ Donovan, il cantautore scozzese che l’industria discografica contrappose a Bob Dylan. Ma è anche un’altra persona, che in quella foto assomiglia in modo folle ad una persona che ho amato in modo stupido, possessivo e infantile, di cui sono stato geloso, cui ho fatto del male che non posso riparare. La foto lo ritrae nei ricordi perfetti che ho di lui, ed è il motivo per cui, quando scoprii questo disco, seppi che mi avrebbe accompagnato, e così è stato. Patetico, nevvero? Dopodiché, ascoltando il disco, bisogna dire che Bob Dylan sia meglio, e che non ci sono i brani migliori della sua produzione – a partire da “Mellow yellow”, che è certamente una delle migliori dieci canzoni di sempre. C’è “Atlantis”, che venne riscritta da Francesco Guccini in “L’isola non trovata”. Ed alcune altre canzoncine indimenticabili.

“Barabajagal – il retro”

Ma c’è questo modo, tutto di Donovan, di essere strampalato e fanciullesco (che venne travisato per hippie e psichedelico), e di costruire castelli di sabbia con la sua voce stupenda e con un arrangiamento a metà strada tra l’Europa e l’America – tanto che, per anni, ero convinto che fosse canadese, come Bruce Cockburn e Neil Young. Perché Donovan, come il primo Cat Stevens, o Al Stewart, è una fucina apparentemente inesauribile di melodie e di passioni autunnali, che, come canta lui, servono a “Catch the wind”, ad acciuffare il vento. Quel vento dolce d’autunno che si è portato via la nostra meravigliosa gioventù e che ogni tanto, come le maree, riporta il nostro cuore a riva, nella spiaggia che ci ha originati, e da dove tutto continua ad iniziare, ogni mattina, ogni settembre, ogni volta che ascoltiamo Donovan ed il suo finto semplicismo barzotto, e riguardiamo quella vecchia foto.

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