Musica
La musica bisestile. Giorno 133. Donovan
Per alcuni anni aveva conteso a Bob Dylan la palma dell’artista folk più famoso del mondo, ma rimase ingabbiato nelle sue immagini bucoliche e psichedeliche, continuando a coltivare un suo pubblico, ma senza più raggiungere il successo che aveva fino a questo disco…
BARABAJAGAL
Ho sbagliato tantissimo, nella vita – come tutti. Ma più vado avanti con gli anni, più diventano chiare alcune cose. Non posso rimediare al male che ho fatto, ma almeno posso vederlo e cercare di evitare non solo di ripeterlo, ma di permettere che si creino i presupposti. Mi attacco quindi a quei ricordi, quelle immagini, che ho imparato dall’affetto più grande che io abbia mai avuto (dopo quello per mia figlia Valentina): Giorgio Gaber. Lo so, è noioso. Ma è stato lui a dire: la vita è come un’equazione. Sbagli un puntino qualunque, e nella riga dopo non si vede nemmeno. Ma qualche riga più tardi l’equazione diventa enorme, irrisolvibile, mostruosa, e nessuno riesce più a capire cosa e dove sia andato talmente storto da deviare il corso dell’unica vita che abbiamo.
Una delle immagini più forti è il retro di copertina di questo disco. E’ Donovan, il cantautore scozzese che l’industria discografica contrappose a Bob Dylan. Ma è anche un’altra persona, che in quella foto assomiglia in modo folle ad una persona che ho amato in modo stupido, possessivo e infantile, di cui sono stato geloso, cui ho fatto del male che non posso riparare. La foto lo ritrae nei ricordi perfetti che ho di lui, ed è il motivo per cui, quando scoprii questo disco, seppi che mi avrebbe accompagnato, e così è stato. Patetico, nevvero? Dopodiché, ascoltando il disco, bisogna dire che Bob Dylan sia meglio, e che non ci sono i brani migliori della sua produzione – a partire da “Mellow yellow”, che è certamente una delle migliori dieci canzoni di sempre. C’è “Atlantis”, che venne riscritta da Francesco Guccini in “L’isola non trovata”. Ed alcune altre canzoncine indimenticabili.
Ma c’è questo modo, tutto di Donovan, di essere strampalato e fanciullesco (che venne travisato per hippie e psichedelico), e di costruire castelli di sabbia con la sua voce stupenda e con un arrangiamento a metà strada tra l’Europa e l’America – tanto che, per anni, ero convinto che fosse canadese, come Bruce Cockburn e Neil Young. Perché Donovan, come il primo Cat Stevens, o Al Stewart, è una fucina apparentemente inesauribile di melodie e di passioni autunnali, che, come canta lui, servono a “Catch the wind”, ad acciuffare il vento. Quel vento dolce d’autunno che si è portato via la nostra meravigliosa gioventù e che ogni tanto, come le maree, riporta il nostro cuore a riva, nella spiaggia che ci ha originati, e da dove tutto continua ad iniziare, ogni mattina, ogni settembre, ogni volta che ascoltiamo Donovan ed il suo finto semplicismo barzotto, e riguardiamo quella vecchia foto.
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