Musica

La musica bisestile. Giorno 125. The Doors

6 Novembre 2018

Il cervello di Jim Morrison cominciava a soffrire dei molti eccessi, ma allo stesso tempo la consapevolezza della band aveva sconfitto la plastificazione imposta dalla produzione dei primi dischi, ed era arrivata al vero sound di una delle migliori band di sempre

 

MORRISON HOTEL

 

Perché questo e non un altro dei dischi, tutti stupendi, registrati dai Doors? Perché fa parte del secondo periodo, quello in cui Densmore, Krieger e Manzarek avevano imparato abbastanza per poter partecipare veramente alla costruzione del sound di ognuno dei pezzi, ed avevano costruito, partendo da un misto tra la musica psichedelica dei primi anni 60, Procol Harum e Moody Blues in testa, ed il suo incontro con il country, un suono veramente proprio ed esclusivo, dal quale loro sognavano di poter partire per andare alla conquista del jazz-rock, che ancora non esisteva.

“Morrison Hotel”, 1970

In questa parte finale i Doors pubblicano tre dischi. Il primo, “The Soft Parade”, è bellissimo, ma pieno di archi ed altre cose che stanno magari benissimo, ma non sono esemplificative della band. Troppo lavoro di produzione, troppi tentativi di vendere la band come un hype del pop, di “normalizzare” Jim Morrison. L’ultimo, invece, “L.A. woman”, è troppo pieno di blues, ed il contributo di Morrison è stato poco e nulla, perché era ormai già al di là del limite della consapevolezza. Invece “Morrison Hotel” è un capolavoro assoluto, sorprendente, dal quale è stato difficile scegliere dei singoli, perché tutti i brani erano eccezionali, diversi eppure simili e chiaramente “Doors”. Si tratta del disco in cui Morrison è più consapevole, anche se le droghe e l’alcool gli stavano portando via il cervello…

Che peccato per ciò che accadde dopo… Ma non sono qui per mettermi in fila alle migliaia di giudici della vita del poeta, quanto per ricordare a tutti noi che, in una lista dei migliori album di sempre, uno dei Doors non può mancare, perché sono stati meravigliosi, avevano dei testi intelligenti e delle musiche non stucchevoli, ma ruggenti, ed avevano una credibilità intrinseca che li ha sempre tenuti lontani dal pop. Se li ascoltate con attenzione, scoprirete un dato in comune con i primi Genesis: gli errori tecnici. I musicisti in sala hanno un’immaginazione creativa più forte di ciò che loro, tecnicamente, sono in grado di fare. Per questo motivo, in diversi momenti, si percepisce una sospensione del fluido armonico, una banalizzazione del suono, una serie di indecisioni, che nessuna sovrapproduzione può veramente correggere. Non si tratta di “sbagli”, ma di una caratteristica propria e stupenda ed indimenticabile, che rende vera una band e la sua musica.

 

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