Musica
La musica bisestile. Giorno 12. Cat Stevens
Dopo anni di successi e depressione, Cat Stevens sperimenta la tentazione di una nuova via a metà strada tra pop, jazz, influssi indiani e primi vagiti dell’elettronica, per un album che è rimasto per oltre un decennio una sorta di isola nell’oceano della musica moderna
BUDDHA AND THE CHOCOLATE BOX
Con questo disco meraviglioso iniziava la terza fase della carriera di Cat Stevens, quella più complessa, musicalmente più elaborata, in cui piano elettrico e sintetizzatore diventano protagonisti di una musica che non ha eguali, e che ha aperto la strada all’evoluzione pop degli anni 80, ma in una sintesi tra il suo periodo beat, quello cantautorale, ed una serie di lezioni apprese ascoltando musica indiana, ascoltando musica elettronica tedesca, immaginando un suono che ancora non c’era, e che è stato anche riferimento per un certo jazz, come quello di Sun Ra ed in parte di Joe Zawinul ed i suoi Weather Report.
Come “Foreigner”, si tratta di un concept album, di un disco costruito intorno ad un unico nucleo narrativo, e che si apprezza compiutamente solo dopo averlo ascoltato innumerevoli volte. Questa scoperta la devo al mio amico d’infanzia Bruno Versini ed al suo Revox, un marchingegno che allora il massimo della tecnologia, e che dava un sound pulitissimo e lasciava seguire le differenti tracce come se fosse in quadrifonia.In quel modo ci accorgemmo che questo disco era differente da tutto ciò che avevamo ascoltato fino ad allora. Mi spiego: il rock di allora, ed ancora di più il prog, era virtuoso – suonato da musicisti eccellenti che, una volta trovato un sound nel quale si sentissero a casa e che ne rimarcasse l’unicità, puntavano (giustamente) sulla ricerca di nuove melodie e di nuovi equilibri tra gli strumenti classici del quintetto chitarra, basso, tastiere, batteria, voce + magari uno strumento particolare, come il flauto o il violino. Emerson lake & palmer avevano aggiunto il moog.
Cat Stevens invece inizia a costruire brani in cui si ascoltino oltre venti tracce differenti, una accanto all’altra, che aggiungano dinamismo a delle melodie già di per sé belle, curate, uniche. Per farlo non si pone limiti: tastiere elettroniche, ma anche strumenti sinfonici, e chitarre diverse, con sonorità particolari, a volte usate come sezione ritmica, oppure accostate a chitarre e bassi che suonano linee di mandola o di viola, ampollosi arrangiamenti d’archi sostituiti da un mellotron, delle tubular bells e due chitarre in contrappunto. Alla registrazione parteciparono oltre 30 musicisti, e ci furono 12 diversi produttori, ognuno per una singola canzone, o a volte solo per una parte di essa, sovrapposta ad una minuziosa pre-produzione di Cat Stevens, che venne in sala di incisione con materiali già estremamente curati.
Nei testi si vede la sua inesausta ricerca della spiritualità, che allora si indirizzava ai guru indiani, da cui Cat Stevens venne terribilmente deluso, perché li considerava “ladri e mendicanti, sempre con la mano tesa ed un egoismo imbarazzante e senza confini, sanguisughe d’anime”. Ma quando scrisse questo disco ancora non la pensava così, e la critica festeggiò il Buddha di Cat Stevens come il miglior disco prodotto nel 1974. Nel frattempo, forse a causa della successiva svolta religiosa, questo disco è stato dimenticato, ma vi assicuro che si tratta di una fondamentale pietra miliare della storia della musica.
https://www.youtube.com/watch?v=3S1YgYR3drA
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