Musica

La musica bisestile. Giorno 11. Klaus Renft Combo

11 Settembre 2018

L’unica band di prog della DDR ai suoi inizi, quando era anche severa critica al sistema e grido sbarazzino del grande bisogno di leggerezza nella gabbia di piccolo borghesi boriosi e spaventati che guidava il Paese

KLAUS RENFT COMBO

 

Non lo crederesti possibile, eppure, ascoltandolo, sembra un disco di prog italiano, ci starebbe bene la voce dii Eugenio Finardi, e la chitarra assomiglia a quella di Rodolfo Maltese del Banco. Invece era un gruppetto di ragazzini di Lipsia, che avevano fatto cinque anni di dura gavetta prima di ottenere, nel 1973, la licenza statale da rockband, il permesso di suonare in pubblico e l’onore di registrare un album delle loro canzoni. Il sound è rozzo, si sentono distintamente i suoni del fustino del detersivo, del pettine sulla grattachecca, del cucchiaino battuto sui bicchieri. I volumi a volte sono squilibrati, l’esecuzione imperfetta, ma non importa: questo disco è l’energia prorompente della generazione sessantottina della DDR che cammina spedita sulle uova che il regime ha posto loro sotto i piedi per costringerli a cambiare sogno. Senza riuscirci.

“Klaus Renft Combo”, 1973

I Renft cantano contro il capitalismo (“McDonald”, che costringe la moglie a diventare pecora nel branco perché il marito si interessa solo delle bestie da vendere), ma soprattutto cantano contro il potere di Berlino e di Mosca: “Ketten werden knapper”, le catene stanno per finire. Nel capolavoro eterno, “Apfeltraum”, il melo, che piange con le sue mille facce tristi, salva tutta la foresta, invitando gli stranieri ad occuparsi di un bosco abbandonato da un proprietario morente. E se siete impermeabili alle metafore velate, arriva “Gänselieschen”, l’ochetta: “La nostra unità agricola socialista ha cento oche, più un’ochetta, che è mia, ed ogni giorno le portiamo al pascolo. ma la mia ochetta viaggia con me, sul mio trattore, perché faccio di tutto per evitare, che qualcuno faccia della mia ochetta un bene comune, e me la rubino”. L’anno successivo, nel 1974, quando uscì il secondo disco, erano già sotto inchiesta. Dopodiché li proibirono.E loro si riformarono con un nuovo nome, i Karussell, e tutti si stupirono del fatto che ottennero la licenza per suonare…

Peter “Cäsar” Gläser, il più grande chitarrista della DDR

Il perché l’ho scoperto dopo. Ho avuto l’onore di essere amico di Peter Glaeser, detto Caesar, il chitarrista e voce principale della band. Purtroppo è morto di cancro nel 2008. Ammise di aver lavorato come informatore della STASI, lo perdonarono, perché allora non c’era alternativa, ma lui, che dopo la Riunificazione si era messo a fare il tassinaro a Berlino, non ce l’ha fatta, si è ammalato. I Karussell ottennero la licenza perché lui, da spia, garantiva l’ortodossia della band. Ridicola, naturalmente, perché la maggior parte dei testi, anche di questa nuova band, erano al limite della denuncia. Il tastierista dei Karussell, Dirk Michaelis, scrisse “Als ich fortging”, che ho incluso, anche se appartiene ad un altro disco: una canzone apertamente contro il sistema, e che è tuttora la canzone più amata dal pubblico della DDR, il brano di tutta una vita.

Dirk Michaelis, tasierista e cantante dei Karussell

Il testo della canzone è piuttosto chiaro, se si pensa che il topos principale della musica della DDR era “andarsene”, scappare. Nella canzone in questione, Dirk (con cui ho avuto l’immenso onore di dividere il palco ed il microfono), Dirk spiega: “Quando me ne sono andato la strada era in salita, ed ero tentato di tornare indietro, sapendo quanto soffrissero coloro che lasciavo indietro. Ma nulla è eterno, accettalo, anche se vorresti restare piccola e debole. Nulla dura, e nemmeno lo vogliamo davvero, col tempo ogni dolore si affievolisce”. Sapendo quanta gente, tra la crisi del 1973 (quando la DDR divenne una vera e durissima dittatura) ed il 1989, scappò oltre il confine o venne ammazzata mentre tentava, questa canzone traccia un solco con l’aratro dell’abbandono nel cuore di tantissima gente, e lo fa in modo non eroico, ma contraddittorio, perché nella DDR tutti avevano l’impressione di essere sporchi, ipocriti, bugiardi, traditori. Era il regime a portarti ad esserlo, o a crederlo. Non mi importa nulla: questo disco simboleggia tutta la rabbia, la malinconia e la gioia di vivere di una generazione nata e cresciuta senza nessuna speranza nel futuro, e che nonostante tutto dimostrò di poter ancora continuare a sognare.

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