Musica
La musica bisestile. Giorno 109. The Tokens
Erano i Re del doo-wap e guidarono le classifiche di tutto il mondo per una breve ed intensa stagione, rimasero vittime della sua volatilità, perché allora, ad ogni nuova stagione, il mercato esigeva un nuovo ballo, un nuovo gioco, una nuova moda
THE LION SLEEPS TONIGHT
Una delle mie mode preferite degli anni 50 è quella del “doo-wap”, perché era snob e pretenziosa, borghese e leziosa, ma era nata lo stesso per strada. Si trattava di gruppetti vocali in cui ogni cantante “mimava” uno strumento. Doo-wap era la tromba, ramalama-dingdong per la chitarra, bum-tu-bum per il basso e via di seguito. Naturalmente si trattava di una deriva del jazz, e di complessini estremamente melodici, che lanciavano canzoncine orecchiabili e dallo sviluppo molto veloce. Mi piace, perché senza il doo-wop, il rock’n’roll sarebbe rimasto una noiosa derivazione del blues, e le armonie del jazz degli anni 40 e della musica classica non sarebbero riuscite ad entrare fin dagli inizi nella storia del rock.
Tra gli epigoni del doo-wap c’erano Franke Lymon (“Why do fools fall in love”), i Monotones (“Book of love”), i Crystals (“Da doo ron ron”) e poi, confluendo nel soul, i Platters (“Only you” etc.) e nel surf, con i Beach Boys, tutti artisti resi celebri ai nostri giorni dal film “American Graffiti”.Negli anni 50, quel tipo di musica, facile da suonare ed ancora più facile da canticchiare a memoria, aveva sancito l’emergere prepotente di una generazione di adolescenti che, come prospettiva, non aveva la Seconda Guerra Mondiale, ma anni di leggerezza all’Università, in quasi totale assenza di regole (come descritto nella caricatira di “Animal House”, nell’epos di “American Graffiti” e “Grease”, ma poi reso più vero e critico in “Il laureato”, con Dustin Hoffman e la musica di Simon & Garfunkel). Questi giovani volevano leggerezza, e venne loro data.
Allo stesso tempo, questi sono gli anni in cui la musica dei neri si allarga e conquista anche il pubblico bianco, almeno nelle grandi città dell’Est, e non solo grazie ai colossi del jazz. Il blues straripava, e quindi straripava la richiesta di musica blues che fosse comprensibile ed accettabile anche per i bianchi. Esattamente come The Tokens. Avevano iniziato dal basso, come coro che accompagnava Neil Sedaka, ma poi ebbero alcuni anni di assoluta notorietà, perché imbroccarono la cover di un brano africano, “Mbube” dell’artista zulu Solomon Linda – che, pur essendo un gigante a casa sua, in America era ovviamente sconosciuto.
La canzone, scritta in swahili, venne cantata da Pete Seeger, che era uno interessato al folk dovunque fosse ed era un terzomondista convinto. The Tokens tradussero il testo in inglese ed ottennero un successo planetario – tant’è che questa canzone, ancora oggi, la conoscono davvero tutti. Eppure, la mia preferita è “When the summer is through”, che ascolto ancora oggi, in settembre, quando mi viene nostalgia e mi preparo all’inverno. Insieme ad “All summer long” dei Beach Boys e “Sealed with a kiss” di Brian Hyland mi sembra esprimano quel senso di malinconica solitudine che si prova quando ricominciano le scuole, e le belle giornate a far niente, giocare e correre dietro alle ragazze sono purtroppo finite.
https://www.youtube.com/watch?v=s2UgR7984S0
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