Musica
La musica bisestile. Giorno 101. Jimi Hendrix
ARE YOU EXPERIENCED?
Naturalmente non so cosa avesse in testa. So che era impossibile fare una band con lui, perché non suonava mai la stessa cosa, uguale, per più di una volta. Perché aveva in mente le sue armonie e, come molti musicisti estremamente dotati, mentre suonava, con le labbra cantava, persino sui più veloci assoli, e non sempre seguendo le dita, ma armonizzando con esse. Oltretutto, nelle sue mani la chitarra svolgeva anche il ruolo del basso, della batteria, a volte delle tastiere, ma queste sono cose che si percepiscono solo se lo si ascolta nei brani dal vivo e, con il tempo, si inizia ad avere dimestichezza con le sue scale, con i suoi accordi, con le sue vibrazioni.
Potrei raccontarvi della sua infanzia difficile, di come sia stato in galera e nell’esercito, di come abbia vissuto in una specie di tubo caleidoscopico fatto di musica, droga, ragazze ed incubi, e di come, proprio alla fine, avesse scoperto la musica etnica – troppo tardi per inventarsi nuovamente, troppo tardi per aver salva la vita. Ma non servirebbe. Hendrix è un infinito chiuso in sé che non va spiegato, va sentito, ascoltato, percepito e – se possibile – non giudicato come espressione individuale, ma come arte spontanea e selvaggia, la trasposizione su pelle e sangue di migliaia di anni di tradizioni tribali, massacrate dalla gabbia del capitalismo bianco, vanamente illuso dal movimento hippie.
Jimi Hendrix sfugge alla gabbia in cui chiusero Carl Anderson, che fu cantante d’opera e, dopo JCS, morì di cancro. Sfuggì alla gabbia di Dorsey Wright, il Lafayette di “Hair”, il Cleon di “The Warriors”, che venne poi ostacolato ed emarginato dall’intero mondo ufficiale artistico americano. Hendrix si è creato uno spazio proprio ed incontestabile, che si cancella con la sua morte, e non si confonde né si vende, mai. Per questo mi piace il primo disco, perché è più selvaggio, sporco, non arrangiato. E rasenta la perfezione.
Devi fare login per commentare
Accedi