Musica

La musica bisestile. Giorno 10. Crosby Stills Nash & Young

10 Settembre 2018

Ed eccola lì, l’America buona, quella del pacifismo e dell’impegno politico e sociale, quella colorata e gioiosa, quella sbarazzina ed intransigente che avevamo sempre sognato, e che ora aveva trovato anche la propria giusta colonna sonora

FOUR WAY STREET

 

Ero in piazzetta, al Lido dei Gigli, ed erano in tanti, chitarra alla mano, a suonare questa musica sconosciuta, che mi pareva di averla sognata. E le voci, le armonie, i colori, una forza calma, come un’onda che cresca lentamente ed inesorabilmente, come il ritmo degli accordi in sesta ed in quarta, le linee guida con i bassi, una nostalgia che prende al ventre prima ancora che al cuore. E poi imparare, con fatica ed entusiasmo, a fare i cori in terza e quinta nota…

“4 Way Street”, 1971

Di loro non sapevo nulla, nemmeno che esistessero: David Crosby, Stephen Stills, Graham Nash e Neil Young. Dalla copertina vedevo solo che suonavano per lo più la chitarra alla rovescia, così che non riuscivo a memorizzare gli accordi. Avvolto nella baldanza di “Chicago”, della ragazza cowboy nella sabbia, del conflitto generazionale che termina con i bambini che devono educare i loro genitori, annegavo in una marea di impulsi, di emozioni, e soprattutto di riff che ero già capace a riconoscere, essenziali eppure complessi, e mi sembrava di aver capito quale fosse la musica “giusta”, quella di coloro che contestano lo Stato non con la rabbia, ma con un’aristocratica distanza.

Naturalmente, oggi so che David Crosby era uno dei leader dei Byrds, insieme a Roger McGuinn, e che fu lui ad introdurre i cori che hanno poi caratterizzato la musica della West Coast. So che Graham Nash veniva dall’Inghilterra, dove suonava insieme ad una scadente popband chiamata The Hollies, di cui lui era profondamente annoiato. Stephen Stills e Neil Young suonavano invece insieme nei Buffalo Springfield, i creatori del West Coast politicamente impagnato. Young era dovuto scappare indietro in Canada perché non aveva un permesso di soggiorno. Gli altri erano tutti innamorati di Joni Mitchell e di Judy Collines, e quindi divennero l’epicentro di un nugolo di musicisti straordinari, e la punta di diamante del cantautorato americano. Tutto, in loro, mi sembrava splendido ed incomparabile. Musicalmente, il quartetto rilancia il sound dei Byrds, ma inserendo una terza ed una quarta chitarra. Quella solista di Stills suona la melodia principale sul SI e sul MI cantino, quella di Crosby suona le inversione d’accordi, infarcite di quarte, seste e settime. Quella di Young da il ritmo, e quella di Nash, quando c’è, suona un accordo intermedio, costante, che da l’effetto di un’onda del mare che si appoggia dolcemente sulle spiagge dei cori. Imparando la lezione della musica del Seicento e quella del Canto Gregoriano.

Erano bravi, erano belli. Anzi, lo sono ancora, visto che li si può ancora ascoltare dal vivo. Oggi conosco tante brutte storie nascoste dietro la vita di quel gruppo, tra tradimenti e sporche questioni di soldi, ma allora, tanti anni fa, CSNY erano l’affettata allegria di una generazione presuntuosa, talentuosa, romantica e perduta, in cui l’amore, quello per gli occhi blue di Judy, era senza futuro, e lo si sapeva da sempre. Se c’è qualcosa che io abbia mai veramente voluto, nella mia vita, era far parte di quell’onda. Così quella è stata la mia estate West Coast, la scoperta di Woodstock, degli hippie, dei Jefferson Airplane e dei Grateful Dead, un suono in cui mi indentificavo allora, e mi identifico ancora adesso. CSNY dal vivo erano e restano la colonna sonora di chiunque voglia imparare a suonare e cantare insieme, di chiunque creda, ingenuamente, ad un mondo senza umilianti circoli cattolici, senza preparare la rivolta con gli Inti-Illimani, senza gopel, senza lo snobismo del folk di Pete Seger e Bob Dylan, con un coro magari anche piccolo borghese di ragazzi viziati ed esteti, ma meravigliosamente (e stupidamente) convinti che il mondo appartenesse a loro.

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