Commercio
La fine del compact disc e l’arrivo di Apple Music, cosa cambierà?
Qualche giorno fa mi è arrivata una brutta notizia: il mio negozio di dischi di fiducia a fine anno chiuderà.
È sempre brutto quando un esercizio commerciale chiude, ma quando vende qualcosa di artistico io mi sento ancora più insofferente. Come ho avuto modo di parlarne nel mio blog poco tempo fa, non è la prima volta che vengo colpito da questo genere di chiusura, ma questa volta credo proprio che sarà quella definitiva. Insomma credo che mi abituerò ad acquistare musica ai concerti oppure online, comodamente da casa. Mi mancherà? Certo che mi mancherà, così come tutti quei momenti passati al “bancone” del negozio a parlare di dischi, di band dal nome sconosciuto, di concerti visti o mancati per sempre. Avrò nostalgia tutti quei consigli, magari di chi arriva dopo di te ed ha in mano l’ultimo di Ryan Adams 15 anni fa o di chi adesso mi ha suggerito gli Alabama Shake. Perché c’è tutto un mondo fatto di reciproci consigli totalmente disinteressati che se ne vanno insieme a chi, contento, non ha ancora chiuso la porta e già ha scartato il nuovo cd (cd audio per i puristi della discografia) o vinile da ascoltare a casa.
Se ne va un mondo, quello del cd (il vinile continua ad esistere per vie – e vite – parallele) che forse non è mai stato apprezzato così tanto da essere accettato universalmente come l’erede del 33 giri. Sarà per il formato, per il costo, per la tecnologia che lo rendeva sempre misteriosamente meno analogico e più digitale degli altri, fatto sta che il cd sta per compiere i suoi ultimi faticosi giri su un lettore che ha sempre trovato grande difficoltà nel leggerlo come si deve, soprattutto con la definizione che avrebbe meritato da sempre.
I dati parlano chiaro: lo streaming ha superato la vendita del supporto fisico, prima in America e poi in Europa, decretando la fine di un mercato che è sempre stato minato nella sua crescita dalle più svariate operazioni di boicottaggio di contrabbandieri analogici prima e digitali poi. Il Sole 24 ore scrive: “Per fornire due numeri l’anno scorso il fatturato ai Cd è stato di 1,86 miliardi di dollari, quello dello streaming che poi vuol dire Spotify, Pandora e iTunes Radio è salito a 1,87, triplicando nell’arco di tre anni.”. Numeri astronomici.
Ma facendo un passo indietro nel tempo, qualcuno di voi magari ricorda l’uscita sul mercato mondiale del compact disc: coincise con l’uscita di un bellissimo album dei Dire Straits, “Brothers in arms”, e con la precisa metà degli anni ’80. Una coincidenza che intende anche due modi diversi di vedere e ascoltare la musica rock, gli U2, il live aid, gli aerei supersonici, tutte testimonianze di un mondo in rapida crescita, soprattutto rispetto ai decenni che lo hanno preceduto.
Il cd audio è cresciuto, è stato venduto, ha spopolato fino a diventare il supporto più venduto negli Stati Uniti fino a 3 anni fa.Nel 1991 (anno in cui sono usciti, tra l’altro, alcuni degli album più importanti della storia della musica rock) c’è stato il raggiungimento di una quota esorbitante, 55,4% di tutto il mercato a stelle e strisce. Gli Lp occupavano tristemente un punto percentuale nella vendita (ma torneranno ad un 4,5% nel 2013) e le musicassette si difendevano bene con un 38% ancora tutto da “ascoltare”. Con l’arrivo dei personal computer, del lettore e del masterizzatore cd-rom, la realtà è stata completamente stravolta. Ok, potete pensare ai contrabbandieri di cd, ed avete ragione, ma dovete anche tenere a mente quanto andava di moda copiare su cassetta un disco (anche vinile) e trovare le copie pirata di un album all’angolo sotto casa per pochissime lire. Sembrava tutto normale, e così è stato almeno per 10 anni, fino a quando la musica online ha iniziato ad essere venduta e fino a quando la chiusura di un servizio, ovviamente pirata, di download mp3 chiamato Napster ha scatenato un coacervo di emuli che hanno posto, per davvero, fine al mondo della musica legale. Le storie che potete sentire sui re dello scaricamento tutto fuorché convenzionale hanno del mitologico così come del autoreferenziale, si tratta di piccoli hacker, genietti del computer, diventati famosi per questo o quell’altro programma che ha permesso a milioni di persone di scaricare sul proprio pc la musica preferita. Si tratta di miliardi di dollari finiti di colpo, un business da ripensare e provvedimenti da prendere contro i trasgressori.
Non starò a fare una supercazzola sull’eticità del download illegale, ma credo che già all’epoca qualcuno pensasse a come rendere possibile fruire di una sorta di streaming del paleocene, solo che i tempi non erano abbastanza maturi. C’erano i lettori mp3, ma non c’erano abbastanza hotspot e costavano ancora troppo, gli smartphone erano ancora da pensare e quindi non c’erano reti telefoniche idonee a supportare certi servizi. Erano solo 10 anni fa o poco più, non sto parlando di dopoguerra. Fatto sta che dal 2004 al 2005 i compact disc hanno perso 7 punti percentuali di vendita sul mercato americano, iniziando la loro costante via verso il declino. Questo a cosa è dovuto? C’è il download illegale casalingo. Adesso chiunque può scaricare musica, ma soprattutto può facilmente masterizzarla su cd vergini e non solo in formato audio, direttamente in mp3. È come l’industria della musica “ascoltata” seguisse la traccia degli ascoltatori e avesse deciso di produrre lettori idonei al download, si parla di Sony come Pioneer oppure Panasonic. Poi nel 2007 arriva l’iPhone e dà un’altra mazzata fortissima ad un mercato che è in totale crisi al 70% del mercato.
Nel frattempo le scorribande illegali di torrent, megaupload, rapidshare, hanno definitivamente soppiantato piattaforme come Soulseek, Emule, canali mIrc. Il declino è ancora più inarrestabile, veloce, gli artisti stessi iniziano a privilegiare la vendita della propria musica online e iTunes diventa un posto magico in cui vedere legalmente album. Ci sono colossi mondiali come gli U2 che hanno persino un loro iPod personalizzato e mettono, nel 2005, tutta la loro discografia in formato digitale.
Il business musicale cambia perché, mentre grandi nomi iniziano ad avere perdite che non riescono a recuperare con gli store digitali, tanti giovani artisti iniziano a farsi strada pubblicando gratis i loro primi lavori per avere visibilità e credibilità attraverso la Rete (gli Arctic Monkeys sono nati così). Succede che col passare del tempo si ripensi al modo di pubblicare i cd audio, ci sono più edizioni per ogni album, vengono rimasterizzati – e quindi rivenduti – interi cataloghi di band come Blur, Led Zeppelin, Beatles, Oasis, Radiohead, e cosa più importante, dato che non vendono abbastanza, i digital store, iniziano a venire supportati dallo streaming. Nel 2008 nasce Spotify e la musica liquida inizia a crederci davvero, soprattutto inizia a bussare alle porte del nuovo decennio assieme a tecnologie sempre più adatte a poterla supportare: hotspot diffusi anche nei piccoli centri, trasmissione dati velocissima via etere e via cavo, e cosa ancor più stupefacente: stiamo parlando di Italia.
Sei anni dopo, gli U2 fanno arrivare comodamente e gratuitamente il loro nuovo “disco” nelle librerie iTunes di tutti. È la fine del download legale e illegale, della vendita dei compact, di tutta la musica che fino ad ora conoscevamo. Lo streaming ora conta davvero, il supporto fisico non ha più ragione di esistere. Bono e soci lo hanno capito prima degli altri, e le case costruttrici di hi-fi domestici e per auto hanno seguito il trend, tanto che lo spazio per i lettori cd non si trova più da nessuna parte, né sugli autoradio né tantomeno sui computer (Apple, antesignana, eliminò con largo anticipo sia il floppy che il cd/cd-rom). E siamo arrivati a ieri l’altro, quando il mio negoziante mi dice che quello della musica fisica è un “mondo finito, ormai tutto è diventato liquido”. Riprendendo ancora le teorie di Bauman, oltre che la società adesso abbiamo anche la musica che ha cambiato “stato”.
Ma va bene così, la storia di un supporto ha raggiunto il suo culmine e sta arrivando alla fine, era tutto previsto, era tutto pronto e probabilmente, da un punto di vista pratico, è stato meglio così.
Chiudono i negozi di dischi, questo sì, e forse si incentiveranno altre forme di discussione meno dirette per poter “parlare” di musica. Nasceranno nuovi luoghi fisici in cui poter parlare di concerti, album, cimeli? Speriamo. Stiamo assistendo ad un ritorno degli artisti in luoghi più pubblici e riservati come librerie o piccoli pub per vendere la propria ultima fatica o per firmare qualche copia e parlare con i propri fan e questo, in un certo senso, non può che fare bene al mondo della discografia, o forse ormai meglio chiamarla “streamografia”.
La prossima settimana prenderà vita Apple Music, destinato a gareggiare con Spotify per il controllo della musica liquida. Pagherà gli artisti anche per i primi tre mesi di prova offerti ai nuovi clienti, presenterà 30 milioni di brani (tra cui tutta la discografia dei Beatles e anche l’ultimo chiacchieratissimo “1989” di Taylor Swift), e avrà dalla sua milioni di utenti già attivi e pronti ad utilizzarli attraverso differenti supporti e sistemi operativi made in Cupertino cui in autunno si aggiungeranno anche i neofiti di Android. Nel frattempo solo Pioneer ha annunciato l’ultimo di autoradio destinato a leggere cd audio. È la fine, ma anche un nuovo inizio e sarà stimolante oltre che divertente vedere dove riusciremo ad arrivare. E quale sarà la musica vincente.
nb. Tutti i dati raccolti sono basati su fonti RIIA
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