King Hannah live Monk Roma

Musica

I King Hannah in concerto al Monk

Cronaca del concerto della band indie rock dei King Hannah, giovane duo di Liverpool molto apprezzato dalla critica musicale.

6 Dicembre 2024

I King Hannah sono un giovane duo di Liverpool tanto apprezzato dalla critica musicale, che la webzine Ondarock ha eletto il loro primo album “I’m not sorry, I was just being me” come disco dell’anno 2022. La voce di Hannah Merrick e la chitarra di Craig Whittle possiedono infatti un’alchimia unica, nata dallo studio e dal lavoro insieme in un pub, prima di creare la band.

King Hannah Merrick guitar Roma

Al Monk

Siamo andati a vederli dal vivo al Monk, uno dei più vivaci centri culturali romani, non lontano dalla stazione Tiburtina. I King Hannah sono nel pieno del tour invernale che promuove il secondo album “Big Swimmer”. Si tratta di un disco “americano”, perché nato dopo il tour mondiale che ha portato la band negli Stati Uniti, dove il nuovo immaginario li ha contaminati nei testi e nelle sonorità.

Queste nuove sonorità mi ricordano sia la New York della Factory di Andy Warhol e dei Velvet Underground e Nico, sia la fredda Bologna dei Massimo Volume. Grazie ai suoi suoni ruvidi post-punk, talvolta giocosi e talvolta lugubri, sento “Big Swimmer” più nelle mie corde rispetto al loro primo lavoro.

Arriviamo in sala quando ci sono poche persone ad ascoltare Joe Gideon, simpatico personaggio con baffi e capelli folti che celano una faccia che mi ricorda John Malkovich. Insieme al suo strumentista, porta sul palco un interessante post-punk casereccio, fatto di chitarra, voce e poco altro, tra cui un vecchio flauto artigianale.

Su Wikipedia, ho notato che ha avuto un piccolo momento di gloria nei primi anni duemila. Ha infatti aperto concerti importanti, insieme alla sorella Viva Seifert, con cui ha fondato i Joe Gideon & The Shark.

King Hannah Craig Whittle Roma

L’arrivo dei King Hannah

La sala pian piano si riempie, visto che il concerto è sold out. Poi, entrano il batterista e il bassista/tastierista a supporto del duo, insieme a Craig che crea l’atmosfera giusta per l’ingresso di Hannah. Dopo un minuto, si presenta lei, con braccia scoperte, semplici adidas ai piedi, piercing sul naso e volto magrissimo. Indossa l’abito rosso fuoco che si vede nel video musicale della canzone “Big Swimmer”, con decorazioni vistose, come un vestito da flamenco.

Guarda il pubblico in maniera glaciale, sfocata dentro i fumi rossi che si intonano all’abito. Il suo sguardo quasi privo di espressione penetra il pubblico lentamente quando inizia a cantare “There was a vending machine, it was obscene”. Sono i primi versi di “Somewhere Near El Paso”, una traccia fatta di atmosfere inquietanti, spesso più parlata che cantata, che termina in 8 minuti, dopo una lunghissima schitarrata, in cui la stessa Hannah imbraccia lo strumento.

Capisco subito che il tempo si dilata all’infinito. Il rock dei King Hannah ha bisogno di riflettere sulle note che spaziano tra la psichedelia, il blues, il post-punk. La musica che cresce fino a travolgere lo spettatore, mentre la voce delicata penetra lentamente nelle orecchie e nella testa del pubblico, insieme al suo sguardo di ghiaccio.

King Hannah live photo Roma

La parte centrale

In questo contesto, la ballata blues di “The Mattress” assume una bellezza irreale, con il pubblico che va in visibilio per i rari gesti della cantante, come quando scuote il capo da sinistra a destra. Invece, “Milk Boy (I Love you)” mi pare più efficace sul disco che dal vivo, perché non si percepisce la teatralità della scena, che cresce fino a quando il padre finge di tirare una martellata al bambino.

Hannah annuncia di cantare una canzone del primo album. Mi aspetto la più importante “A Well-Made Woman”, invece intona una traccia minore, “Go Kart Kid (Hell No!)”. Forse perché la considera il principale punto di raccordo tra i due album, prima di ritornare a “Big Swimmer” con pezzi che riprendono il country e il folk, come “Suddenly, Your Hand” e “John Prine on the Radio”.

Malgrado la bellezza dei pezzi, il pubblico ha bisogno di una svegliata. La band vira allora sulle due canzoni che preferisco: “New York, Let’s do Nothing” e “Davey Says”. La prima sembra provenire direttamente dalla Factory, con un iconico scambio di battute tra una ragazza a colloquio. L’intervistatore chiede di cosa si occupa. Lei risponde “Sono un’artista e una musicista”. Lui afferma “No! Non un’altra ancora” e alza gli occhi al cielo.

La seconda ha tratti punk adolescenziali, di un invito al party, con il consiglio di andarci piano, se vuole uscirne fuori. Dal vivo, “Davey Says” rende meglio rispetto a “New York, Let’s Do Nothing”, che comunque rimane una delle mie canzoni preferite del 2024.

King Hannah Merrick finale Roma

Il finale

Chiude la prima fase del concerto con due pezzi che ricordano gli esordi della band. Prima, il singolo di “State Trooper” (cover di Bruce Springsteen) e poi “Crème Brûlée” tratto dal loro primissimo EP “Tell Me Your Mind And I’ll Tell You Mine”. Le ho trovate delle scelte un po’ strane.

Durante la pausa, usciamo dalla folla per dirigerci in fondo alla sala e avere il colpo d’occhio del pubblico che ha apprezzato il concerto. Il bis chiude il concerto con “Big Swimmer”, la prima traccia dell’album, e il nuovo singolo “Blue Christmas”. La prima appare una canzone infinita, che ci riporta sulle atmosfere post-punk iniziali, con la musica e la voce che entrano pian piano sotto la pelle. La seconda è invece una canzoncina di Natale in chiave indie, che mi pare un po’ scialba.

Esco soddisfatto da una band ancora molto giovane, ma dal grande futuro. Le 12 canzoni eseguite in maniera lenta e suadente in poco più di un’ora hanno mostrato l’abilità di stare sul palco quasi senza movimenti, combinata a pezzi travolgenti, ognuna contraddistinto da un sound diverso. Tutti ugualmente significativi e che lasciano un ricordo indelebile nello spettatore.

C’è sicuramente ancora da affinare qualcosa, forse servono altri pezzi un po’ più dinamici che si possano alternare alle ballate più lente, oltre a uno show più continuo. Hannah sembra aver bisogno di troppe pause per bere acqua e interagire col pubblico, che chiaramente non è la sua dote principale.

Ci ha pensato però il pubblico romano a scaldare la situazione continuando a ripetere “Daje”. Hannah allora rispondeva dicendo di non avere la minima idea di cosa significasse. Qualche temerario ha pure provato a tradurre “Daje” con “C’mon”.

 

Foto di Hua WANG

 

Tracklist completa:

Somewhere Near El Paso

The Mattress

Milk Boy (I Love you)

Go Kart Kid (Hell No!)

Suddenly, Your Hand

John Prine on the Radio

New York, Let’s do Nothing

Davey Says

State Trooper

Crème Brûlée

Big Swimmer

Blue Christmas

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